Teatro Asioli, 16 maggio – 31 maggio 2024
Ventidue anni fa, cancellato il glorioso Festival di Reggio Emilia, per una specie di reazione “compensativa” è nato nelle immediate vicinanze il Correggio Jazz Festival, affiliato al circuito Crossroads, rassegna che sotto la direzione artistica di Alessandro Pelli e Sandra Costantini ha definito una propria precipua identità col privilegiare il jazz italiano e di esso soprattutto le nuove forze maggiormente coinvolte con le poetiche contemporanee. Questo indirizzo ne fa un unicum in Italia, da quando perlomeno s’è esaurita l’esperienza della rassegna di Foligno “Young Jazz” (e la sua propaggine nell’ambito di Umbria Jazz a Perugia). Non solo jazz italiano, però, a Correggio, perché ad esso vengono regolarmente mescolati grossi nomi internazionali.
Negli undici appuntamenti della ventiduesima edizione svoltasi dal 16 al 31 maggio 2024 al Teatro Asioli (qui https://www.correggiojazz.it/programma-correggio-jazz-2024/ il programma completo, da noi non seguito interamente) la parte internazionale è stata dedicata principalmente al jazz latino ed anche, se la si considera da un altro punto di vista, al piano jazz trio.
I due pianisti cubani in programma, Roberto Fonseca e Harold López Nussa, entrambi estroversi e dotati di una tecnica straordinaria, hanno comunque presentato differenze stilistiche e di approccio. Fonseca, accompagnato da Felipe Cabrera al contrabbasso e Jay Kalo alla batteria dalla sfavillante musicalità, è stato meno propenso al gigioneggiare festoso tipico della musica cubana, anche limitando gli interventi vocali che sono stati molto parchi, rapide pennellate di giocosità. Con i danzanti ritmi cubani e la clave sempre presenti, pur se spesso solo adombrati, Fonseca ha esibito un pianismo lucido, percussivo, fantasioso che può inabissarsi in loop di brevi frasi reiterate o snocciolare lunghe contorsioni virtuosistiche alla Art Tatum.
Harold López-Nussa, con Thibaud Soulas al contrabbasso e Ruy Adrián López-Nussa alla batteria, ha invece mantenuto in modo più diretto, senza velature, i ritmi e le trame cubane, come il danzón e il son, spesso con interventi cantati tipici, mantenendone una propria indipendenza rispetto alla sintassi jazzistica adottata.
Il terzo “latin” è stato il pianista spagnolo Daniel García Diego. Assieme a Reinier Elizarde “El Negrón” al contrabbasso e Michael Olivera alla batteria, ha portato cadenze, armonie e i timbri sia della musica classica che del flamenco in una energica improvvisazione jazzistica che si avvicina per certi versi a Shai Maestro, Michel Wollny ed anche Chick Corea.
Il piano jazz trio in senso più lato è stato rappresentato al festival pure da Martin Tingvall e Uri Caine.
Tingvall, accompagnato da Omar Rodriguez Calvo al contrabbasso e Jürgen Spiegel alla batteria (insieme da vent’anni), ha programmaticamente cercato in ogni brano di fare il ritratto di un uccello attraverso melodie orecchiabili ma al contempo intricate, a cui sono seguite improvvisazioni cariche di estro drammatico che hanno ricordato il connazionale svedese Esbjorn Svensson e il suo trio e.s.t.
Uri Caine s’è presentato sì con il trio (gli eccezionali Mike Boone al basso elettrico e Jim Black alla batteria), ma con l’aggiunta della cantante Barbara Walker con la quale ha presentato a mo’ di epopea la storia di Octavius Catto, insegnante e attivista per i diritti civili assassinato a Filadelfia nel 1874. La Walker ha personalizzato i vari episodi trasformandoli in musica gospel con enfasi melismatica, intrecciandosi con i tropi del ragtime, dello swing e del pianismo moderno impiegati magistralmente e con efficacia da Caine per far avanzare drammaturgicamente l’esibizione.
Come detto, non abbiamo potuto seguire tutti i concerti: fra i citati gruppi italiani solo quelli guidati da due batteristi, il “veterano” Roberto Gatto e il più giovane Zeno De Rossi, entrambi leader dei propri gruppi, raffinati compositori e ideatori di progetti sempre diversi.
Gatto ha incentrato la propria proposta sulla musica dei Lifetime, storico gruppo fusion di uno dei batteristi moderni più innovativi, Tony Williams. Con Alfonso Santimone al piano, tastiere ed elettronica, Marcello Alulli al sax tenore, Umberto Fiorentino alla chitarra e Pierpaolo Ranieri al basso elettrico è stato interpretato lo stile dei Lifetime in modo personale, propendendo a farne risaltare più gli stilemi prettamente jazzistici che su quelli rock, con in bella evidenza lunghe e ficcanti improvvisazioni di tutti i componenti.
Più spregiudicata la musica dei Zenophilia di De Rossi, che annovera membri tra i più creativi della scena contemporanea come Piero Bittolo Bon ai sassofoni alto, tenore e baritono e Filippo Vignato al trombone, che si si sono mossi con irriverente e abrasiva irruenza e articolazione sghemba su un più regolare accompagnamento ritmico costruito, oltre che dall’impeccabile Zeno DeRossi, anche dal tubista Glauco Benedetti, che ha fatto le veci del contrabbasso, e del percussionista Simone Padovani. Con l’efficace apporto del cantante Dean Bowman ci sono stati, oltre i richiami della scena downtown newyorkese degli anni Novanta, riferimenti al blues di Jimmy Reed e Ray Charles, echi di Ry Cooder e dei Latin Playboys, con titoli ispirati ai grandi eroi dello sport del passato.