Il mondo del jazz italiano e internazionale piange la scomparsa di Teo Ciavarella, scomparso a Bologna il 15 maggio 2025 all’età di 65 anni. Pianista virtuoso, compositore raffinato e docente amato, Ciavarella ha lasciato un vuoto profondo non solo per le sue straordinarie doti musicali, ma anche per la sua umanità e il suo impegno sociale, che hanno toccato la vita di colleghi, studenti, pazienti, amici e ascoltatori.
Nato nel 1960 a San Marco in Lamis, in provincia di Foggia, Teo aveva fatto di Bologna la sua casa e il suo cuore artistico. Qui si era formato al DAMS e aveva poi insegnato pianoforte jazz al Conservatorio “G.B. Martini”, contribuendo alla formazione di intere generazioni di giovani musicisti, ai quali ha trasmesso non solo tecnica e passione, ma un’autentica visione della musica come linguaggio dell’anima.
La sua carriera è stata una costellazione di collaborazioni straordinarie. Dalla scena cantautorale a quella jazzistica più pura, Teo Ciavarella ha saputo dialogare con alcuni dei nomi più amati della musica italiana e internazionale. Innanzitutto Lucio Dalla che Ciavarella ha accompagnato in numerosi concerti e registrazioni, contribuendo a versioni memorabili di brani come “Caruso”, e poi Paolo Conte, Vinicio Capossela, Claudio Baglioni, Enzo Jannacci, Renzo Arbore, Gino Paoli, Giorgia, Tiziano Ferro, Malika Ayane, Paolo Rossi, Kelly Joyce: con ciascuno di questi artisti, Ciavarella ha condiviso palcoscenici, studi di registrazione e progetti artistici, dimostrando una straordinaria versatilità. Nel jazz la lista è ancora più nutrita cominciando dai veri e giganti come Gerry Mulligan, Eddie Gomez, George Garzone e continuare con tutto il gota del jazz italiano: Paolo Fresu, Fabrizio Bosso, Antonello Salis, Stefano Di Battista, Daniele Scannapieco, Gianni Cazzola, Franco Cerri, Hengel Gualdi, Giovanni Tommaso, Gianni Basso, Romano Mussolini, Amedeo Tommasi, Marco Di Marco, Lino Patruno.. La sua versatilità gli permetteva di muoversi con disinvoltura tra generi, contesti e linguaggi musicali diversi, portando sempre il suo tocco unico, elegante e ispirato.
Una ulteriore dimostrazione di ciò è la significativa collaborazione con il regista Pupi Avati, noto per la sua passione per il jazz. Avati, prima di intraprendere la carriera cinematografica, suonava nella Doctor Dixie Jazz Band, gruppo con cui Ciavarella ha collaborato e che ha partecipato a tre film di Avati: Jazz Band, Dancing Paradise e Accade a Bologna . Inoltre, Ciavarella ha partecipato a eventi e spettacoli legati al regista, consolidando un rapporto professionale e personale duraturo.
Ha inciso oltre trenta dischi, partecipato a produzioni teatrali e televisive accanto a personalità come Antonio Albanese e Virginia Raffaele, dimostrando una rara capacità di adattare il suo talento ai più diversi contesti espressivi. Ma la musica di Teo non era mai solo mestiere: era empatia, era ascolto, era presenza.
Fino all’ultimo, anche durante il duro percorso delle cure oncologiche al Policlinico Sant’Orsola, Ciavarella non ha mai smesso di donare musica. Suonava spesso nella sala d’attesa del reparto, offrendo con il suo pianoforte conforto e speranza a pazienti e medici. Una testimonianza commovente della sua generosità d’animo e della sua convinzione che la musica potesse davvero essere cura.
Il giorno del funerale, celebrato il 17 maggio nella chiesa di Santa Rita a Bologna, una folla commossa di amici, colleghi, allievi e appassionati si è riunita per un ultimo saluto carico di emozione, tributo sentito a un artista che ha saputo unire eccellenza e umanità come pochi altri.
Con Teo Ciavarella se ne va una delle voci più autentiche del jazz italiano, un ambasciatore della musica capace di unire mondi, persone, generazioni. Ma resta la sua eredità: nei dischi, nelle partiture, nei ricordi di chi lo ha conosciuto e nei cuori di chi, almeno una volta, ha avuto il privilegio di ascoltare la sua musica.
Riportiamo questo suo ricordo di Hengel Gualdi, rilasciato in esclusiva per Jazzitalia nel 2008:
Teo Ciavarella ricorda Henghel Gualdi
Ho conosciuto Gualdi nell’82 quando sono arrivato a Bologna per gli studi universitari. L’ho incontrato presso la Cantina della Doctor Dixie, luogo d’incontro e fucina di molti giovani musicisti. Dopo le sue prime note al clarinetto fui letteralmente incantato dal suo modo di suonare, dalla sua maestrìa, la sua voce. Sapeva coniugare la pronuncia jazzistica con un grande senso dello swing e aveva un suono rotondo, che mi piace definire pucciniano e che lo rendeva davvero unico.

Doctor Dixie Jazz Band
Bologna, Europauditorium, 29 novembre 1997
Henghel Gualdi – clarinetto
Teo Ciavarella – piano
Felice Del Gaudio – contrabbasso
Lele Barbieri – batteria
“Memories of You”
Ricordo che eravamo a Fano nel ’90 e il concerto venne interrotto per pioggia così ci rifugiammo tutti in un club a suonare. Appena iniziato il nostro concerto scese dalla scalinata Paquito D’Rivera il quale eccitato cominciò ad affrettarsi nella discesa curioso di capire chi stesse suonando il clarinetto. Alla fine del brano D’Rivera si inginocchiò chiedendogli chi fosse e pregandolo di suonare qualsiasi cosa insieme.
Gualdi era sconosciuto nel mondo del jazz internazionale e in Italia era noto soprattutto per la sua attività nelle orchestre da ballo, cosa che non gli è stata mai perdonata dai critici musicali. Lui, scherzandoci, diceva che con le orchestre da ballo si era “sporcata la fedina”…
Abbiamo fatto centinaia di concerti insieme. La scaletta era una sua piccola ossessione. Ogni sera preparavamo la lista dei brani, lui voleva costruire la scaletta, come un rito, un momento fondamentale del concerto. Amava profondamente il suo lavoro e non l’ho mai visto triste perchè, ad esempio, gli mancava il lungo periodo delle sue apparizioni in televisione, non avvertiva la mancanza dei riflettori e conduceva tutto sommato una vita molto artigianale, viveva alla giornata.
Aveva un grande senso dell’ironia e amava molto la buona cucina, voleva mangiare prima e dopo il concerto, accompagnandosi con dell’ottimo Lambrusco.
Negli ultimi anni si era anche un po’ rassegnato alla mancanza di notorietà raccontando questo suo stato d’animo con affetto nel suo libro intitolato “Poteva andare meglio“, un’autobiografia piena di rimpianti e di tanta ironia.
Henghel non nutriva invidia per nessuno, aveva un generale rispetto dei colleghi ma era profondamente consapevole delle sue grandi qualità tecniche ed espressive e non si sentiva secondo a nessuno.
Abbiamo suonato tanta musica insieme, ma quando suonava “Stardust”, andava altrove, come in trance, avvolto in una misteriosa liturgia. Chiudeva gli occhi e viaggiava in un’altra dimensione. Avveniva anche con “The man I love”, “Memories of You” e altre ballads. Non ripeteva mai le stesse cose, quei patterns che spesso i musicisti suonano per aiutarsi negli assoli. In questi momenti noi musicisti che lo accompagnavamo ci guardavamo sorridendo, esterrefatti per ciò che stava creando, per la sua profonda poesia musicale.
Con Henghel ho sempre avuto un ottimo rapporto, c’era un rapporto fraterno, anche paterno direi. Non amava gli errori di esecuzione, imprecisioni ritmiche o accordi sbagliati…lo mandavano in bestia. Ma con il passare degli anni maturava sempre di più in lui la consapevolezza della relatività delle cose e quindi riusciva a vivere anche le imperfezioni come momenti di crescita e non di tensione.
I suoi due più grandi rimpianti sono entrambi legati all’America. Il primo è sicuramente stato quello di non aver seguito Louis Armstrong il quale aveva una stima profonda, sincera nei suoi confronti (e non so quanti sono i musicisti italiani che possono vantare questa referenza nel proprio curriculum). Gualdi ha sempre accompagnato Armstrong in Italia, anche nella famosa uscita di Sanremo del 1968. Armstrong propose a Gualdi di seguirlo e di far parte del suo gruppo ma lui non accettò perchè, come scusa ufficiale, aveva paura dell’aereo. Una volta stava andando in America per incontrare Benny Goodman, il suo idolo, ma l’aereo appena partito da Milano fu costretto ad atterrare e i passeggeri dovettero scendere con il gommone. Si spaventò talmente e giurò di non veler prendere mai più un aereo nella sua vita. Superò comunque questa paura nel ’90 quando partecipò ad una grandiosa tournèe al seguito di Luciano Pavarotti. Durante questi concerti Henghel suonava brani come Un Americano a Parigi, After you’ve gone, Stardust, ovviamente…, un tour di grande successo e Pavarotti riuscì a convincerlo a volare dicendogli: “pensa, se dovesse cadere l’aereo diventeresti famosissimo perchè sullo stesso aereo di Pavarotti!!!”.
Con Armstrong ha sempre avuto poi un rapporto affettuoso che è continuato nel tempo. Erano nati lo stesso giorno, il 4 luglio, e ogni anno Armstrong inviava alla mamma di Gualdi dei fiori per ringraziarla di aver messo al mondo un figlio come Henghel.
Non aver dato seguito all’amicizia con Benny Goodman è il suo secondo rimpianto. Conobbe Goodman durante le riprese di un film di Risi a Roma e nacque una bella amicizia. Avrebbe voluto seguirlo, in America.
Il suo orgoglio erano le sue origini. Ha vissuto in pieno la IIa Guerra Mondiale e da ragazzino ha subito dovuto lavorare. Il suo lavoro è stato fondamentale per la sua famiglia e ciò lo ha sempre reso orgoglioso. Amava le cose semplici, si nutriva di semplicità. Musicalmente aveva un grande rigore, studiava tutti i giorni e prima di ogni concerto riscaldava lo strumento almeno per un’ora.
L’eredità che mi ha lasciato Henghel è che la musica è un grande mistero, dalla nostra cultura, dalle nostre competenze e abilità, ma c’è una finestra, una dimensione inspiegabile che si può aprire e quando questa finestra si apre accade qualcosa di magico. A lui accadeva spesso. Poi mi ha insegnato che si deve praticare la musica quotidianamente e sempre con rigore e semplicità, senza il senso di competizione che spesso avvelena il nostro ambiente. Come ho già detto, non invidiava alcun collega ma ascoltava la musica di tutti con grande interesse per trarne gli aspetti più interessanti.
Un ultima cosa vorrei raccontare di Henghel, un aspetto non legato alla sua vita artistica ma fondamentale per descrivere il suo carattere. Viveva in perfetto stile “Amici Miei”, organizzava scherzi in continuazione, era grande amico di Tognazzi, con il quale aveva concepito alcuni scherzi resi celebri nei film. Ne racconto uno. Una sera doveva suonare con la sua orchestra in un locale nuovissimo, completamente ristrutturato, bellissimo. Il gestore ne era, ovviamente, orgoglioso e lui, dopo le prove gli disse: “sa, è bellissimo, ma c’è un grave problema”. E il gestore, preoccupato: “quale? Mi dica, Maestro…”, “c’è un serio problema di acustica…”. Il gestore gli chiese come poter risolvere questo problema e Gualdi gli disse: “sa, si dovrebbe fare un foro dietro al palco in modo che il suono possa meglio uscire dalla sala e propagarsi meglio verso l’esterno…”. Nonostante la cosa fosse inverosimile, riuscì a convincere il gestore a fare questo buco! Ovviamente in quel locale non sono più tornati…