Con La Tregua, il nuovo album pubblicato da Filibusta Records, il Duo Reflections – formato dal pianista francese Sylvain Rey e dal chitarrista Leandro López-Nussa – inaugura un capitolo artistico più maturo e coraggioso. Dopo l’esordio del 2020, costruito su standard reinterpretati, i due musicisti firmano oggi un lavoro interamente originale, registrato in un’unica giornata su nastro analogico e con un solo microfono stereo: una scelta che restituisce intatta la loro complicità, il gusto per il rischio e quella “grammatica condivisa” che hanno costruito fin dal 2017.
La Tregua è un album che alterna intimità e tensione, atmosfere cinematografiche e improvvisazioni dal respiro libero, colori armonici ricchi e una narrazione musicale che emerge naturalmente dai contrasti e dalla fluidità del dialogo tra pianoforte e chitarra. Lavorando su spazio, silenzio, dinamiche e densità timbrica, Rey e López-Nussa si confermano una delle formazioni più raffinate e originali della scena contemporanea europea.
In questa intervista, il Duo Reflections racconta la genesi dell’album, le scelte estetiche dietro la registrazione analogica, la costruzione del proprio linguaggio condiviso, i progetti futuri e il valore – imprescindibile – dell’incontro con il pubblico.
“La Tregua” è un titolo evocativo. A quale tipo di tregua vi riferite: tra linguaggi musicali, tra voi come interpreti o a qualcosa di più personale e introspettivo?
Anche per noi è un titolo molto evocativo! Nella nostra mente, la musica dell’intero album è quasi cinematografica e ricca di immagini colorate, quindi il titolo ci è sembrato naturale. Inoltre, il brano che dà il nome al disco racconta una sorta di storia: un’eruzione che cresce lentamente fino all’esplosione, seguita poi… dalla tregua.
Detto ciò, non scegliamo mai i titoli pensando troppo. Le idee arrivano perché devono arrivare: non vorremmo chiamare i brani “senza titolo n.1”, “n.2”, ecc. Quando dobbiamo trovare un titolo, ci lasciamo semplicemente sorprendere da idee strane, come “Zythum”, per esempio. Sylvain scoprì che era l’ultima parola del dizionario francese e vinse una partita epica di Scrabble! Il suono della parola ci piaceva e l’abbiamo tenuta. “Zythum” è una parola latina che indica una specie di birra dell’antico Egitto, buffo no?
Il vostro debutto includeva standard rielaborati, mentre La Tregua è composto interamente da brani originali. Cosa vi ha spinti verso un album tutto originale e come ha influenzato il vostro processo di scrittura?
Semplicemente sentivamo che, dopo alcuni anni di attività, eravamo pronti a spingere le nostre idee più lontano. Con gli standard sarebbe stato più difficile esplorare quella direzione; inoltre, avevamo bisogno che il nostro lavoro fosse considerato per la nostra scrittura, non solo per le interpretazioni.
Questa scelta ci ha portati a cercare nuovi suoni, nuove tecniche, estetiche e contesti differenti. Nell’album si trovano forme completamente improvvisate – da suoni fermi e ripetitivi (“Aube”) a esplosioni dissonanti e percussive (“Bobdado”) – ma anche brani più “cantabili” (“Juan & John”, “En las nubes”), con melodie e accordi semplici.
Molti recensori parlano della “grammatica condivisa” che avete sviluppato dal 2017. Se doveste descrivere questo linguaggio a qualcuno che non vi ha mai ascoltati, quali sarebbero le sue regole non scritte?
La nostra “grammatica condivisa” (ci piace molto questa espressione) nasce dai primi anni del duo, quando facevamo molte session e jam: arrangiavamo standard, lavoravamo sul vocabolario jazz, imparavamo nuovi brani.
Durante questo processo – che continua tuttora – abbiamo trovato elementi che funzionano bene per noi e per la combinazione pianoforte-chitarra. Gli unisoni, per esempio, hanno un suono particolarmente efficace e bello tra i due strumenti.
Abbiamo lavorato molto anche sull’improvvisazione libera, cercando modi diversi per rimanere sempre in uno stato mentale “giocoso”.
Sentiamo che l’improvvisazione può emergere in tanti modi diversi: può essere vincolata da linee guida armoniche e ritmiche molto precise, può essere totalmente libera o essere qualunque cosa nel mezzo.
Infine, il linguaggio armonico – reso più interessante dalla presenza di due strumenti polifonici – è uno degli aspetti su cui lavoriamo di più. Il modo in cui sviluppiamo l’armonia porta il nostro suono verso un universo molto colorato, percepibile spesso nella nostra musica.
Spazio, silenzio e atmosfera sembrano importanti quanto la melodia nella vostra musica. Quanto lavorate consapevolmente su questi elementi in studio e dal vivo? Vi riconoscete nella definizione di “jazz cinematografico”?
Sì, ci sentiamo molto vicini all’idea di “cinematic”. Anche se non descrive del tutto la nostra musica (sembra trascurare l’aspetto energetico e ritmico), dice molto del tipo di suono che cerchiamo in molti nostri brani.
Lavoriamo in modo consapevole su molti aspetti legati allo spazio e all’atmosfera. Come dicevo prima, il nostro linguaggio armonico ci permette di avere una tavolozza di colori ampia. Ci piace anche sperimentare con il contrasto e la varietà all’interno di un brano o di un set.
Siamo piuttosto precisi quando si tratta di fraseggio e dinamiche: sono elementi un po’ trascurati nella musica non classica, ma forniscono strumenti essenziali per costruire atmosfera intorno a una melodia.
Avete registrato La Tregua in un solo giorno, su nastro analogico, con un unico microfono stereo e senza editing. Una scelta sia tecnica che estetica: cosa volevate catturare o preservare con questo approccio? Cosa significa “abbracciare le imperfezioni”?
Ci affascinava l’idea di una performance musicale catturata con la massima sincerità possibile, che portasse l’ascoltatore nella stessa stanza in cui stavamo registrando.
L’uso del nastro e dei microfoni lo ha reso possibile, aggiungendo inoltre una colorazione e uno spazio sonoro che non avremmo ottenuto con un mezzo digitale.
Anche tempistiche e limiti tecnici hanno influito: per ragioni tecniche non potevamo fare più di due take per brano, accelerando il processo e permettendoci di registrare tutto in un giorno.
Con la registrazione su nastro stereo, il mix si fa prima di registrare: volumi e pan sono un lavoro molto “fisico”, piacevole e al tempo stesso impegnativo.
Tutto questo per dire che con questo metodo gli errori erano inevitabili. Sapendolo, abbiamo scelto di accettare quelle imperfezioni e includerle nel nostro suono, così che per noi… sparissero.
Brani come “En las nubes”, “Fo’ Blue” o “L’ami de Rasputin” sembrano piccoli racconti. Esiste una narrativa dietro ciascun pezzo? Potete raccontarci l’origine o l’immaginario di uno o due brani?
A volte vorremmo partire proprio da un’idea narrativa, ma la verità è che scriviamo ciò che sentiamo di scrivere. Solo dopo guardiamo ciò che abbiamo composto in cerca di un significato o di un titolo.
Tuttavia, il tipo di scrittura che adottiamo spesso – con i suoi contrasti, suoni peculiari e paesaggi colorati – offre già una narrativa in sé. Più sviluppiamo consapevolmente questo tipo di scrittura, più i brani portano con sé una forte componente narrativa.
Di recente stiamo anche scrivendo delle suite, che a loro modo sono storie in più capitoli.
Detto questo, “En las nubes” è un’eccezione: è stato scritto quasi interamente e la sua atmosfera ci ha fatto subito pensare a un viaggio tra le nuvole, dal timido sorgere del sole fino alla luce piena, per poi tornare al crepuscolo.
La Tregua suona incredibilmente intimo, quasi come una session live. Come si traduce questo nei vostri concerti? Seguite la struttura del disco o lasciate che improvvisazione ed energia del pubblico riplasmino i pezzi?
Sì, grazie al modo in cui è stato registrato, La Tregua ha — speriamo — il feeling di una performance dal vivo!
Durante i concerti non seguiamo l’ordine dell’album, anche perché non abbiamo abbastanza materiale per un set completo. Dalla registrazione in poi, infatti, abbiamo composto e provato nuova musica per ampliare il suono dell’album.
Cerchiamo il più possibile di lasciare che la sala “parli” sulla musica, e sì: le sezioni improvvisate devono evolvere di performance in performance, per mantenerci sulla giusta onda.
Ci sono anche brani che possono essere modellati in modi diversi se lo desideriamo. È qualcosa su cui vale davvero la pena lavorare!
Quali sono i vostri progetti per promuovere La Tregua? State preparando un tour, festival o collaborazioni con il cinema, la danza o le arti visive? Quanto è importante l’incontro fisico con il pubblico rispetto alla promozione digitale?
La promozione digitale è necessaria ma spesso spiacevole, perché manca il feedback umano e ti lascia in un mondo virtuale che non ha nulla a che vedere con la musica reale.
Per questo stiamo lavorando molto sulle possibilità di tour: è ciò che vogliamo fare davvero, suonare dal vivo.
Per quanto riguarda collaborazioni con altre arti, abbiamo già lavorato con il cinema muto — esperienza che abbiamo amato — e siamo pronti a farne molte altre se ci saranno opportunità.
Dopo l’uscita del nuovo album, vogliamo portarlo in tour il prima possibile in Italia, ma anche in Spagna, Belgio e negli altri Paesi vicini alla Francia.
Com’è nata la collaborazione con Filibusta Records? In che modo la label o il team di promozione hanno sostenuto o influenzato la vostra visione artistica?
Abbiamo iniziato a inviare email a diverse etichette in Francia e in Europa. Dopo aver valutato varie opzioni, abbiamo scelto Filibusta Records perché abbiamo avuto subito un’ottima sensazione con il suo fondatore, Fabio Lauteri, che ha seguito l’uscita passo dopo passo con grande umanità e professionalità.
L’etichetta non ha influenzato in alcun modo la visione artistica perché l’album era già registrato e masterizzato prima che iniziassimo a cercare un contratto.
Avevamo anche già completato il lavoro visivo. Quello di cui avevamo bisogno era supporto per l’uscita e la promozione. Vedremo cosa porterà il futuro!
Se La Tregua rappresenta una pausa, un momento di sospensione, cosa arriva dopo questa tregua? State già esplorando nuovo materiale o direzioni per un futuro progetto? Dove sperate che questo album vi conduca?
Come dicevamo, stiamo componendo molto nuovo materiale ed esplorando ciò che l’album ci ha ispirato.
Vogliamo davvero portare questo disco in tour il più possibile, ma stiamo anche iniziando a pensare al prossimo progetto, nei prossimi due anni.
Forse una nuova registrazione — EP o LP — e sicuramente più lavoro sul cinema muto. Per il resto… chi può dirlo?




