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La Rapsodia in blu: diamo a Whiteman quello che è di Whiteman

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George Gershwin, Dana Suesse, Paul Whiteman, 1932.

In questa terza parte del nostro studio su George Gershwin, affrontiamo le dinamiche storiche, sociali, musicali, etniche e raziali, che portarono il compositore a scrivere la famosa “Rapsodia in blu”.

Paul Whiteman e la sua orchestra nel 1921. Dal frontespizio dello spartito di uno dei loro primi successi, “Wang Wang Blues”

Nel 1924, George Gershwin compose la “Rhapsody in Blue”, presentata per la prima volta all’Aeolian Concert Hall di New York, segnò un momento cruciale nella storia musicale americana, sintetizzando nella sua partitura elementi di jazz, di blues e echi appartenenti al mondo della musica classica.

Prima di parlare del lavoro di Gershwin, che inizialmente aveva concepito la sua rapsodia, come un’ opera da fare eseguire da due pianoforti, è importante focalizzare la nostra attenzione sul ruolo e sul lavoro svolto da Ferde Grofè, che realizzò l’orchestrazione dell’opera, completandola in tempo per la sua prima esecuzione che avvenne presso l’Aeolian Concert Hall di New York il 12 febbraio 1924.

L’antefatto: Aeolian Concert Hall, “la casa della musica Classica” si apre al jazz.

L’Aeolian Hall di New York era una sala da concerto situata al 25 West 42nd Street a Manhattan, fu inaugurata nel 1912 e divenne famosa come uno dei principali centri per la musica classica e la musica da camera negli Stati Uniti, ospitando concerti delle più importanti orchestre americane a cominciare da quelli della Symphony Society, una delle maggiori organizzazioni musicali operanti durante gli anni ’20. Fondata nel 1904, la società era conosciuta per promuovere la musica classica e organizzare concerti di alto livello che contribuirono a consolidare la reputazione di New York come centro culturale e musicale di riferimento, ospitando sia compositori americani che internazionali. Austera e refrattaria la sala Newyorkese, apri il suo palco alla prima rappresentazione della Rapsodia, sotto la spinta del troppo spesso bistrattato Paul Whitman.

Diamo a Whiteman quello che è di Whiteman

Paul Whiteman volle portare la “Rapsodia in Blue” di George Gershwin all’Aeolian Hall di New York come parte di un concerto intitolato “An Experiment in Modern Music”, l’obiettivo del concerto era dimostrare come la musica jazz e classica potessero essere fuse insieme, rendendo la musica più accessibile e comprensibile al grande pubblico. Whiteman voleva mostrare che la musica jazz non era solo una forma di intrattenimento popolare, ma poteva anche essere considerata un’arte seria e rispettabile.

Il dibattito storico

Su questo aspetto va subito detto che nel corso degli anni, si sono aperti ampi dibattiti, con fazioni contrapposte, che hanno discusso anche animatamente questa questione, portando il contendere sino all’operato di musicisti come Stan Kenton e John Lewis. Nel corso dei decenni passati si è creato un malinteso, che ha generato un falso problema, nel quale una certa critica e certi ambienti accademici, hanno tentato di analizzare il jazz da una concezione eurocentrica, e fortemente radicata su principi legati all’ambito classico ed accademico.

Stanley Newcomb Kenton ph.: Hans Bernhard (Schnobby) – Opera propria

Questi aspetti pur non essendo il cuore di questa nostra indagine, sono importanti da affrontare per cercare di definire, la spinta e le intenzioni di Paul Whitman, che di fatto fu colui che commissionò la scrittura di un concerto sinfonico in chiave jazz a George Gershwin.

Negli anni venti, il jazz e il suo mondo venivano percepiti dalla cultura dominante bianca e borghese americana, come una espressione rozza, frutto di una minoranza etnica e culturale. Il jazz e le altre musiche espressioni della cultura nera, venivano ridotte nella migliore delle ipotesi, a musiche di serie inferiore, fondamentalmente destinate all’intrattenimento, o ancora peggio come musica da “bordello” eseguita in luoghi infimi e corrotti.

L’intento di Whiteman, in una revisione storica, facilitata dallo scorrere del tempo, può essere considerato giusto e sbagliato allo stesso tempo: meritevole la sua volontà di elevare il jazz in una dimensione “più alta”, confuso l’approccio superficiale con il quale intese realizzare questo intento, che però ha avuto il merito di fare giungere sino a noi una delle opere più importanti realizzate da George Gershwin.

L’antefatto

L’incontro che cambiò il corso della storia, e che favorì il contatto tra Paul Whiteman e George Gershwin avvenne quasi un anno e mezzo prima della sua rappresentazione inaugurale, durante un concerto andato in scena il 1º novembre 1923 all’Aeolian Concert Hall di New York, che vide come protagonista la cantante Éva Gauthier, una mezzo soprano canadese-americana, ricordata per la sua apertura mentale e per la sua curiosità artistica, che la spinse ad indagare anche i repertori dei compositori moderni e di quelli dei suoi contemporanei come Stravinsky, Ravel e Gershwin.

Éva Gauthier

Nata a Ottawa, in Canada, ha studiato musica in Europa grazie al supporto e all’ incoraggiamento di suo zio, il primo ministro canadese Wilfrid Laurier Gauthier. Si è esibita nel corso della sua carriera in Italia, a Pavia nel 1909, interpretando il ruolo di Micaëla in Carmen di Bizet, nel Regno Unito, dove ha partecipato a una tournée in Inghilterra con la famosa cantante canadese Emma Albani e ha interpretato il ruolo di Mallika in Lakmé di Delibes con la compagnia d’opera del Covent Garden di Londra, in Francia a Parigi, durante il suo periodo di formazione nel quale era allieva di Auguste-Jean Dubulle del Conservatorio di Parigi.

Eva Gauthier

La sua curiosità la portò anche in Asia, visse a Java per alcuni anni, esperienza che la portò ad introdurre nel suo repertorio brani della cultura giavanese.

Il concerto all’Aeolian Hall di New York

Ma quello che più ci interessa in questa sede è che il 1º novembre del 1923 ha tenuto un recital storico all’Aeolian Hall di New York, dal titolo “Recital di musica antica e moderna per voce”, che ebbe ripercussioni profonde, sui palati razzisti e paludati dell’establishment musicale, newyorkese degli anni venti.

Il programma del concerto come annunciato era diviso in due parti, nella prima presentò al pubblico opere del repertorio classico, con brani del “nostro” Vincenzo Bellini, del compositore inglese Henry Purcell, insieme a opere moderniste e neoclassiche di Béla Bartók, Paul Hindemith, Arnold Schoenberg, Arthur Bliss, Darius Milhaud, Maurice Delage e Swan Hennessy.

La seconda parte stroncata da molti critici presenti in sala, inorriditi per la commistione dei generi musicali osata dalla cantante, fu aperta con “Alexander’s Ragtime Band” di Irving Berlin, seguito da opere di Jerome Kern e Walter Donaldson, e infine fu terminata con tre canzoni nelle quali Éva Gauthier, fu accompagnata al pianoforte da George Gershwin in persona.

I brani eseguiti furono  “Innocent Ingenue Baby”, una canzone scritta da George Gershwin per la rivista musicale del 1923, “The Rainow”, con Il testo di suo fratello Ira, che esplora temi leggeri e umoristici, tipici delle sue prime composizioni per il teatro musicale, “Stairway to Paradise” “, un brano conosciuto anche come “I’ll Build a Stairway to Paradise”, composto nel 1922 con testi di Ira Gershwin e Buddy DeSylva, realizzato per il musical “George White’s Scandals” e  “Swanee” una canzone  Composta nel 1919 con testi di Irving Caesar, uno dei primi grandi successi di Gershwin che riuscì a vendere milioni di copie, e che divenne famosa grazie all’interpretazione di Al Jolson.

 La critica negli anni venti

Il concerto fu comunque bene accolto dal pubblico di New York, e ricevette consensi anche da Ernestine Schumann-Heink, una cantante lirica molto nota, e dalla solida carriera internazionale, e da Virgil Thomson, un compositore modernista e critico, noto per le sue idee progressiste per lo sviluppo del “suono americano” nell’ ambito della musica classica, ed ebbe come effetto quello di aprire un dibattito che coinvolse a più riprese la critica e gli addetti ai lavori, sull’ opportunità di ospitare in teatri destinati alla musica “seria”, anche opere e performance che avessero a che fare con il jazz o musiche affini.

La cosa prese una piega inaspettata sia sulla carta stampata, che si occupò dell’argomento, alternando giudizi negativi a commenti entusiastici, come quelli di Carl Van Vechten, uno scrittore/giornalista, che aveva collaborato anche con il “New York Times” , un appassionato di jazz, noto per aver pubblicato nel 1926 “Nigger” un romanzo ambientato tra i jazz club di Harlem.

Ma quella sera in sala c’era soprattutto Paul Whiteman, allora già famoso e affermato direttore d’orchestra, noto per le sue performance dal vivo, e per i dischi registrati per la Victor Records.

Diamo a Whiteman quello che è di Whiteman

In questo studio, lasceremo in secondo piano ogni considerazione circa l’opera di Whiteman, troppo spesso osteggiata, dalla critica dell’epoca e anche da quella degli anni successivi, nella quale si è sempre troppo stigmatizzata la natura commerciale del suo operato.

E’ noto che colui che fu chiamato “re del jazz” dalla metà degli anni ’20, era a capo di una orchestra da ballo, specializzata in un repertorio che già all’ epoca fu classificato come una sorta di “Jazz leggero”, un orchestra nella quale, nel corso degli anni, pur suonando musicisti di altissimo livello, come il trombettista Bix Beiderbecke, il sassofonista Frankie Trumbauer, e i “nostri” Joe Venuti al violino e Eddie Lang, alias Salvatore Massaro alla chitarra, solo per citare alcuni dei più famosi solisti che hanno collaborato con Whitheman, gli spazi lasciati all’ improvvisazione furono sempre risicati e tenuti quasi in secondo piano, a favore di parti orchestrali e arrangiamenti rigorosamente scritti, da parte degli arrangiatori in seno all’ orchestra come Art Hickman, e soprattutto Ferde Grofè.

Ferde Grofé – (New York, 27 marzo 1892 – 3 aprile 1972)

Per il nostro racconto, ci interessa sottolineare che quella sera Whiteman, fu folgorato dalla esibizione di Gershwin, e chiese al compositore di scrivere una partitura di matrice jazzistica da presentare al pubblico e alla stampa ,ancora una volta nell’ austera  all’Aeolian Concert Hall di New York, nei mesi successivi.

L’obiettivo del concerto era dimostrare come la musica jazz e classica potessero essere fuse insieme, rendendo la musica più accessibile e comprensibile al grande pubblico. Whiteman voleva mostrare che la musica jazz non era solo una forma di intrattenimento popolare, ma poteva anche essere considerata un’arte seria e rispettabile. Cosa che effettivamente fu realizzata la sera del 12 febbraio del 1924.