Prosegue la storia di uno dei più longevi festival jazz italiani, nel solco tracciato dalla precedente gestione artistica di Klaus Widmann, con una attenzione particolare verso i fermenti del jazz europeo, del quale tende a restituire trame e sviluppi, grazie alla competenza del trio dei direttori artistici, sempre presenti e curiosi verso i principali eventi della scena del continente. Jazz europeo nel quale spesso si colgono importanti contributi di musicisti italiani, come a esempio nel concerto della Brainteaser Orchestra, formazione olandese che ne accoglie ben tre: Nicolò Ricci al tenore, Federico Calcagno al clarinetto basso e Alessandro Fongaro al contrabbasso. Una formazione, diretta da Tijn Wybenga, che calca da anni i palcoscenici dei principali festival europei, e si distingue per la densità – e la particolarità – della scrittura, che gioca sulla dialettica fra la sezione degli archi e quella dei fiati, che volano sicure su una potente ritmica con piano elettrico, chitarra, vibrafono, contrabbasso e batteria. Risultati di pregio, senza un attimo di stanchezza, assolo di tutti sempre calibrati e dinamici, per un ottimo inizio del festival. Festival che peraltro aveva avuto già un breve momento iniziale all’interno del prestigioso NOI Techpark, con alcuni dei musicisti dell’orchestra in una formazione acustica (Pau Sola-violoncello, Aleksander Sever-vibrafono, Kika Sprangers-sax, Pablo Rodriguez-violino, Yanna Pelser-viola, Federico Calcagno-clarinetto basso), posti in cerchio con il pubblico intorno, nell’esecuzione di composizioni di Wybenga e Calcagno, in un programma suggestivo di musica contemporanea, tesa e concentrata.
Altra caratteristica peculiare del festival altoatesino è quella di avvalersi della bellezza dei luoghi per proporre situazioni musicali suggestive e insolite. Come nella proposta denominata “Floating Through Sound”, che ha visto un buon numero di musicisti della Brainteaser Orchestra dislocarsi nel bosco di San Vigilio, lungo il percorso della seggiovia, mentre il pubblico viaggiava su e giù, affascinato dalla bellezza dei panorami e dei suoni. A seguire, presso la Stazione a monte di Monte San Vigilio, il trio della chitarrista lettone Ella Zirina, accompagnata dal contrabbassista austriaco Robert Landfermann e dal batterista olandese Jamie Peet. Allieva di Reinier Baas, altro artista presente al festival, già esibitasi con lui in duo sempre al SJF alcuni anni addietro, ha proposto un set nel solco della tradizione, con sfumature neocool. Un suono pulito, debitore dello stile di Baas, e un repertorio di composizioni originali, tranne il bis A Flower is a Lovesome Thing.
Valeva la pena spostarsi la sera del 28 giugno a Bressanone, presso l’accogliente e fresco lesegarten della locale biblioteca pubblica, per il concerto del quartetto “Pietre”, capitanato dal contrabbassista Alessandro Fongaro, con Nicolò Ricci al tenore, Federico Calcagno al clarinetto basso (in sostituzione del titolare, il baritonista Jesse Schilderink) e Sun-Mi Hong alla batteria. Due album all’attivo, il quartetto, che ha sede in Olanda, si avvale dell’intelligente drumming della coreana e della potenza strutturale dello strumento del leader, e dei dinamici fraseggi dei fiati, due fuoriclasse dei rispettivi strumenti. Brani originali tratti dal repertorio già pubblicato, altri dai toni evocativi di un cinema immaginario, con attenzione alla melodia, suadenti arpeggi di fiati. E, nel bis, un freschissimo esempio di energetico jazz con belle sfumature free.
“Lento” è il nome del duo fra il sassofonista Nicolò Ricci e il pianista Emanuele Maniscalco, che ha suonato presso la Goethe Haus di Bolzano. Atmosfere delicate, due voci strumentali che si integravano alla perfezione in un repertorio di composizioni originali di entrambi, giocando magistralmente fra scrittura e improvvisazione con nitore e sensibilità. Il pianista è lirico, con uno spiccato senso poetico, e l’incontro, nello spazio intimo e raccolto, si è rivelato intenso ed emozionante. Piccolo cameo monkiano al finale, con Pannonica.
Primo concerto italiano per il sestetto “Rhythm Hunters” del batterista belga Stéphane Galland. I “cacciatori di ritmo” hanno dato buona prova di averlo trovato, con una proposta musicale fresca e di buon impatto, nel solco della tradizione, e un buon lavoro collettivo della sezione dei fiati (alto-tromba-tenore) che poggiava su un buon sostegno della ritmica nella quale si distingueva, oltre all’incisivo leader, il pianista tunisino Vajdi Riahi. Finale su un particolarissimo arrangiamento di Afro Blue.
L’incantevole sito del lago di Braies ha ospitato, purtroppo al chiuso a causa delle sfavorevoli condizioni atmosferiche, il quartetto della trombonista Antonia Hausmann, con il sax tenore e clarinetto basso Sebastian Wehle, il pianista Johannes Bigge e il batterista Philipp Scholz. Il gruppo, che fa base a Lipsia, era solo al suo secondo concerto in Italia, dopo un esordio l’anno passato sempre in Alto Adige. Grande merito del festival quello di aver dato spazio a questa bella realtà del jazz europeo: un combo coeso, con una sua peculiare identità, con un batterista fantasioso e musicalissimo, un pianista puntuale ed efficace, un clarinettista-sassofonista sempre idoneo al ruolo, e la leader dal suono lindo e fraseggio leggibile che ben restituivano la gradevolezza delle composizioni originali. Un jazz per palati fini, fresco e coinvolgente, che tuttavia può essere agevolmente fruito anche da un pubblico non specialistico. Antonia Hausmann, alcune ore prima, aveva suonato in un insolito –e gradevolissimo – spazio (Wanderlust Yoga & Movimento) a Bolzano, in duo con la contrabbassista francese Marion Ruault.
Il Bunker H di Bolzano da tempo ospita dei concerti del festival, ma quest’anno la direzione artistica, con la complicità e collaborazione attiva dei musicisti (Camilla Nebbia e Dan Kinzelman) ha escogitato una diversa modalità di utilizzo e fruizione dell’insolito, tenebroso luogo nelle viscere della montagna che si eleva alle spalle della città. Il pubblico, spettatore attivo, camminava in gruppo attirato dal suono della sassofonista argentina, che lo attendeva in un anfratto illuminata da una flebile luce rossastra per una impro che ben si adattava al luogo, per poi immobilizzarsi e lasciar ripartire il gruppo attirato dal suono lontano emesso dal sax di Kinzelman. Altro set di impro in un anfratto, e i due musicisti si sono incolonnati guidando il pubblico verso la pozza d’acqua alla fine della galleria, dove i suoni si sono intrecciati mentre i due vi si immergevano parzialmente, usando le sonorità dell’antro per creare atmosfere suggestive.
Il tradizionale concerto alla distilleria Roner quest’anno era affidato al violoncellista Francesco Guerri, già esibitosi al festival una decina di anni addietro. Guerri ha offerto un set emozionante, grazie alla totale padronanza tecnica dello strumento, alla maestria improvvisativa, la conoscenza approfondita della tradizione classica dello strumento e delle sue declinazioni più contemporanee. Anche momenti di violoncello preparato, e un fiorire di artifici tecnici sempre funzionali alla musica.
Una delle belle tradizioni del festival è quella di promuovere incontri inediti tra musicisti, all’insegna dell’improvvisazione. Così è stato per il duo fra il trombonista Filippo Vignato e il chitarrista austriaco Andreas Tausch, che, all’interno del Rebel Rebel Record Store di Bolzano hanno celebrato l’arte dell’inatteso, in un breve e concentrato set con un risultato musicale davvero gradevole, come se si conoscessero da tempo, come d’altronde c’era da attendersi dal trombonista, uno dei principali improvvisatori italiani, e come è stato piacevole constatare anche per il giovane chitarrista.
Chi scrive si è fermato al festival altoatesino fino alla sera del due luglio, alla proiezione presso il Filmclub di Bolzano del film muto austriaco Der Mandarin, del 1918. Film che si considerava perduto, ritrovato negli Stati Uniti e mirabilmente restaurato nel 2003. La pellicola, davvero interessante, è stata musicata dal vivo da un trio costituito da due componenti del trio belga De Beren Gieren (assente il pianista, che tuttavia ha composto alcuni temi per l’occasione) e da Dan Kinzelman. La storia di una discesa negli abissi della follia ha dato spazio alla maestria e creatività dei tre artisti, che hanno fornito una prova magistrale, una ulteriore scommessa vinta dal festival.