Home NEWS Ada Montellanico in concerto presenta il nuovo album “Canto Proibito” feat. Giovanni...

Ada Montellanico in concerto presenta il nuovo album “Canto Proibito” feat. Giovanni Falzone

135
0
Foto di Elena Somarè

mercoledì 21 febbraio Teatro Studio Borgna
Roma, Auditorium Parco della Musica

Mercoledì 21 febbraio, ore 21, Ada Montellanico presenta in anteprima il suo nuovo album “Canto Proibito”, all’Auditorium Parco della Musica, insieme a un quintetto composto da Giovanni Falzone alla tromba, Filippo Vignato al trombone, Jacopo Ferrazza al contrabbasso ed Ermanno Baron alla batteria.

In questo nuovo album, in uscita il 23 febbraio per Giotto/Egea Music su Cd e digitale, la cantante romana rivisita un repertorio secentesco, cantandone l’irriverenza, l’ironia e la sensualità, riportandone alla luce la modernità e la vivacità culturale.

Dopo aver interpretato i testi inediti di Tenco (Danza di una ninfa, 2005) e i diritti civili di Abbey Lincoln (Abbeys Road, 2017), Ada Montellanico torna con un nuovo progetto di ricerca, non solo musicale, indagando un’epoca caratterizzata da profonde trasformazioni, grandi rivoluzioni e mutamenti, a cui si contrappongono forze conservatrici; nel quale alle idee innovative e alle proposte artistiche accolte da una Venezia liberale, si contrappongono le proibizioni di una Roma clericale, e il divieto alle donne di calcare i palcoscenici consente l’ascesa e l’affermazione dei castrati. Un’epoca tumultuosa, ma estremamente florida e significativa, in cui la musica diventa per la prima volta espressione di affetti, di passione, e che vede la nascita della monodia, l’apertura del primo teatro pubblico e l’affacciarsi delle donne sulla scena culturale.

Da qui nasce il nome Canto Proibito, che vuole narrare questo secolo attraverso le composizioni degli autori più rappresentativi dell’epoca: Handel, Scarlatti, Caldara, Cesti, Carissimi, Cavalli, Barbara Strozzi e Francesca Caccini, entrambe meravigliose e rare compositrici di quei tempi.

Ada Montellanico sceglie un organico pianoless, in cui la voce, oltre ad essere protagonista per la narrazione, assume un ruolo primario a livello strumentale, insieme alla tromba di Giovanni Falzone (che ha curato anche tutti gli arrangiamenti e firmato insieme alla Montellanico l’unico brano originale in scaletta che dà titolo all’album), al trombone di Filippo Vignato, al contrabbasso di Jacopo Ferrazza e alla batteria di Ermanno Baron.

Registrato a maggio 2023 negli studi della Casa del Jazz di Roma, questo album rappresenta per la cantante romana anche un legame con l’inizio del suo percorso musicale: è su queste composizioni, infatti, che ha intrapreso i primi studi canori per poi arrivare al canto jazz (che solo recentemente è stato introdotto come disciplina a livello accademico). Questi brani rappresentano, quindi, non solo un insolito repertorio per il jazz, ma anche un laboratorio musicale in cui sperimentare linguaggi e nuove sonorità con un approccio vocale e strumentale totalmente diverso.

Infine, in Canto Proibito c’è un riferimento a “Opera Proibita”, album del 2005 di Cecilia Bartoli, cantante molto amata dalla Montellanico, non solo per la sua statura artistica ma per essere una grande e illuminata ricercatrice dalle molteplici sfaccettature. Un omaggio a lei, come in una condivisione di sentimento e di identità seppur con linguaggi differenti.

Formazione:
Ada Montellanico, voce
Giovanni Falzone, tromba e arrangiamenti
Filippo Vignato, trombone
Jacopo Ferrazza, contrabbasso
Ermanno Baron, batteria

Ada Montellanico “Canto Proibito”
Mercoledì 21 febbraio ore 21
Roma, Auditorium Parco della Musica
Via Pietro De Coubertin, 30
Teatro Studio Borgna

Ingresso 15 euro

Prevendita https://www.auditorium.com/ticket-one/?eid=12752

Facebook www.facebook.com/adamontellanico
Facebook www.facebook.com/ada.montellanico.9
Instagram www.instagram.com/montellanicoada

Le note di FRANCESCO MARTINELLI

JAZZ E OPERA

L’idea di utilizzare materiale operistico appartiene alle più antiche tradizioni del jazz, dai tempi di King Oliver e Jelly Roll Morton, ed è stata poi magistralmente sfruttata da Sidney Bechet. Di converso l’opera europea dalla fine dell’Ottocento si è appropriata dei ritmi di origine africano-americana, a partire dall’havanera della Carmen (e di “O Sole Mio”). In Italia il collegamento tra questi mondi solo apparentemente lontani ha ispirato splendide registrazioni di musicisti del calibro di Enrico Rava e Gianluigi Trovesi solo per citare due tra i maggiori che hanno reinterpretato il repertorio dall’era del melodramma e del verismo,

LA STORIA

In questo progetto la scelta è caduta su un periodo meno esplorato, quello del barocco maturo, con brani composti tra il 1649 al 1724, simbolicamente proprio dopo la scomparsa di Monteverdi.

Epoca questa di grande creatività e contraddizioni, in cui la Chiesa cerca di applicare le vaghe indicazioni musicali date al Concilio di Trento (1562): “si bandiscano dalle chiese quelle musiche nelle quali sia con l’organo che col canto si mescola qualcosa di lascivo o impuro”. Le donne, secondo una interpretazione restrittiva di scritture forse apocrife, erano da tempo escluse dal canto ecclesiastico, e nel 1589 la bolla Cum pro nostro pastorali munere di papa Sisto V – “er papa tosto” del Belli – riorganizza il coro di S. Pietro ammettendo esplicitamente i castrati per la sezione soprani. La bolla papale sembra legittimare la pratica anche nella musica secolare, in cui era già presente, dando inizio ad un’età d’oro dei castrati italiani che dominano il canto in tutta Europa.

Migliaia ragazzi venivano sottoposti ogni anno alla terribile operazione praticata dai norcini spesso su richiesta delle loro stesse famiglie che speravano di sfruttarne economicamente il talento, ma solo pochi avevano successo teatrale e la maggioranza andava a ingrossare le fila dei cori ecclesiastici o finiva nella prostituzione. I castrati sembrano rappresentare le contraddizioni di un periodo in cui la Chiesa di Roma preoccupata dell’influsso delle riforme protestanti si occupa molto da vicino del mondo dello spettacolo, in contrasto con le signorie settentrionali dalle tendenze più liberali in cui esplode la vita teatrale. Il secolo si apre con il rogo di Giordano Bruno a Roma nell’anno 1600, il 17 febbraio in Campo de’ Fiori. Nella Venezia liberale, che si affida a Paolo Sarpi per la difesa della sua posizione contro il Papato, si apre un teatro dopo l’altro: alle fine del secolo ce ne saranno una decina. Le tensioni sono causate anche dalla affermazione di musiciste come Vittoria Archilei, il soprano Adriana Basile e sua figlia Leonora Baroni pupilla del Cardinale Antonio Barberini, Virginia Ramponi, prima interprete del Lamento d’Arianna, Francesca Caccini autrice de La liberazione di Ruggiero dall’isola d’Alcina nel 1625, e naturalmente Barbara Strozzi.

I BRANI

“O cessate di piagarmi” (1683), musica di Alessandro Scarlatti e testo di Nicola Minato, dall’opera Pompeo. È un lamento d’amore, ma il vivace ritmo di 6/8 lo rende affine a ritmi popolari di danza come la tarantella e porta a una forte spinta ritmica. Perfetto per dare il tono all’album.

“Canto proibito” è una melodia originale di Giovanni Falzone per cui Ada ha scritto un testo ispirato dal progetto. Introdotto da un dialogo contrappuntistico degli ottoni, il brano si sviluppa con episodi rapidissimi attraverso l’esposizione delle liriche e poi una serie di scambi improvvisati accompagnati da cambi di tempo.

“Che si può fare” (1664) è un’aria della celebre cantatrice veneziana Barbara Strozzi in cui si lamenta con rassegnazione una sorte sfortunata, un destino immutabile deciso dalle stelle – anche qui non sono lontani certi rispecchiamenti autobiografici di personalità fondamentali della vocalità africano-americana, dalla dimensione catartica.

“Delizie contente, che l’alma beate” (1649) di Pier Francesco Cavalli su testo di Giacinto Andrea Cicognini per l’opera Giasone. Ricca di allusioni sensuali in cui la morte rappresenta l’orgasmo e la dolcezza omicida quella brama amorosa cui ormai l’esausto amante non è più in grado di far fronte: un tratto che l’apparenta alle infinite allusioni del blues e del jazz, a volte talmente oscene da sfuggire agli stessi censori. Spettacolare lo special a tre voci che lascia il posto all’assolo di basso.

“Piangerò la sorte mia” (1724) di George Frideric Handel, aria dal Giulio Cesare in Egitto, quando Handel componeva ancora opere in stile italiano a Londra ispirato dal suo soggiorno napoletano. L’unicità dell’aria sta nel contrasto tra il tono rassegnato del lamento iniziale e la rabbia della seconda parte in cui Cleopatra minaccia di tornare dopo morta a tormentare il fratello che l’ha imprigionata: cambi di tempo e passaggi aperti sottolineano la drammaticità.

“Vittoria, mio core!” (1640) è una atipica cantata di Giacomo Carissimi il cui testo di Domenico

Benigni celebra non la romantica pena d’amore né la gioia della conquista ma la liberazione da un amante traditore su un brioso tempo ternario. La voce è giustamente spiegata e trionfante.

“Intorno all’idol mio” (1656) dall’Orontea di Antonio Cesti su libretto di Giacinto Cicognini riceve una lettura lineare tesa a sottolineare l’arco melodico con sottili variazioni.

“Sebben, crudele” (1710) composta nel da Antonio Caldara per l’opera La costanza in amor vince l’inganno ha avuto un’ampia fortuna nei recital vocali malgrado l’opera intera venga raramente eseguita. Battiti di mani basso e voce colgono l’ascoltatore di sorpresa prima della distesa esposizione, e poi di nuovo voce e tromba intrecciano un dialogo quasi percussivo nell’accompagnamento.

“Già il sole dal Gange” (1680) composta da Alessandro Scarlatti per L’honestà negli amori è simmetrica al brano d’apertura di Handel, e gioiosamente chiude l’album con una sequenza di assoli che applicano creativamente tecniche jazz alla struttura originale.

CANTO PROIBITO

Ada Montellanico presta la sua voce ricca di sfumature alle melodie originali per poi abbandonarle e trasformarle, in un caleidoscopio di timbri e variazioni che ne arricchiscono e a volte ne capovolgono il senso, inserendo anche elementi comici e popolari: vorrei dire che si prende tutte le necessarie libertà non solo con gli originali ma anche con un’idea convenzionale di improvvisazione jazzistica, creando un mondo sonoro fresco, originale, irriverente, rischioso e perciò ancor più affascinante. Le sue ispirazioni sono le grandi cantanti africano-americane e in particolare Abbey Lincoln, della cui musica Ada è stata l’ambasciatrice in Italia. Sulla scia della loro prima riuscitissima collaborazione, Suono di Donna del 2012, gli arrangiamenti di Falzone riescono ad essere fedeli allo spirito dei brani, rivitalizzandoli con un suono contemporaneo, aprendo spazi per l’invenzione dei solisti, e trattando la voce come canto e testo ma anche come puro colore. Ispirato dalla musica barocca, spesso Falzone ha immaginato vigorosi ostinati per la sezione ritmica in cui spicca il basso di Ferrazza a sostenere l’esposizione del tema e a intarsiare le improvvisazioni di gruppo. La funzione degli strumenti muta in continuazione senza ruoli predefiniti, come si confondono l’una nell’altra le parti predefinite e quelle improvvisate. Il gruppo ha un suono molto specifico creato quasi per sottrazione, attraverso l’assenza di ance e pianoforte, una scelta secca e precisa grazie alla quale cui la trama armonica è molto leggera e cangiante, basata sulla combinazione delle linee melodiche singole, sui giochi timbrici e le microvariazioni di intonazione dei fiati. La sezione ritmica accentua i tratti di danza, sia quelle in tempo ternario come la tarantella, sia quelle a tempo binario come le ciaccone, e le irte riformulazioni ritmiche di Falzone. Jacopo Ferrazza al contrabbasso ed Ermanno Baron alla batteria realizzano con precisione e creatività le idee dell’arrangiamento, e Filippo Vignato al trombone è il perfetto complemento alla tromba di Falzone.