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Stephan Micus (Winter’s End)

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ECM (2021)

1. Autumn Hymn
2. Walking In Snow
3. The Longing Of The Migrant Birds
4. Baobab Dance
5. Southern Stars
6. Black Mother
7. A New Light
8. Companions
9. On Chikulo
10. Sun Dance
11. Walking In Sand
12. Winter Hymn

Stephan Micus – voce, chikulo, nohkan, 12-string guitar, tongue drums, kalimba, sinding, charango, ney, sattar, tibetan cymbals, suling

Se qualcuno non conoscesse ancora Stephan Micus, farebbe bene a documentarsi. Il polistrumentista di Stoccarda è uno dei grandi ricercatori della musica e, di conseguenza, degli strumenti musicali, che attinge da tutto il mondo. Il suo fiuto, però, non si limita alla ricerca dello strumento fisico: Micus lo fa proprio, impara a suggere da questo l’anima della musica che trasmette; fa propri i millenni (in molti casi) di storia e di vicende che lo strumento porta sulle spalle, per tradurli fino a noi. Ora, se qualcuno volesse definire il risultato del lavoro di Micus come musica etnica o, ancor peggio, world music, si accomodi pure. Una cosa è certa: il musicista tedesco lascia suonare i suoi strumenti improvvisando, ascoltando gli stessi, lasciando gemere la loro storia. E lo fa in solitaria espressione, perché tale approccio non ammette condivisione. Sovraincide, utilizza la registrazione multipista, crea cori, crea correnti musicali fluide, armonie e melodie immarcescibili.

Qui manipola, accarezza, percuote strumenti provenienti da ogni dove: il chikulo dal Mozambico, il nohkan che arriva dal teatro giapponese, la subsahariana kalimba, il ney, flauto turco-egiziano, il suling che è uno degli strumenti base dell’orchestra gameliana, il cinese sattar, il charango che arriva direttamente dalle Ande, il sinding, ovvero l’arpa africana. Ma anche la chitarra dodici corde, che splende di blues in “Walking Snow”. E la voce (la sua, incredibilmente) costruita in forma di coro che ci consegna la bellezza dell’Africa in “The Longing Of The Migrants Birds”.

Per chi cercherà – e ha già cercato – di classificare questo disco, resterà impotente di fronte alla bellezza della semplicità della musica. Che qui la si ascolta senza troppi orpelli.

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Alceste Ayroldi
Docente, critico musicale, saggista, veejay. È docente di Legislazione dello Spettacolo e Rapporti tra autore ed editori presso il Saint Louis College di Roma (A.F.A.M.), nonché Music Research Practice, Music Industries e Academic Writing presso la University of the West of Scotland. E’ docente di Performing Arts nei corsi universitari UWS dell’Art Village di Roma. In qualità di critico musicale collabora stabilmente con la rivista Musica Jazz. E’ editor manager della webzine Jazzitalia. Collabora in qualità di consulente con alcuni festival italiani (Multiculturita Summer Fest, Beat Onto Jazz Festival). Ha prodotto diversi spettacoli, è stato – ed è tuttora - il direttore artistico di numerosi festival italiani. Collabora con la Rete Svizzera Italiana e con la Fondazione The Brass Group di Palermo. Tra le sue opere: Paolo Lepore e la Jazz Studio Orchestra (Adda, 2020); La Legislazione dello Spettacolo e il diritto d’autore delle opere musicali (Arcana, 2022); Fatti e misfatti dell’industria musicale italiana (Arcana, 2023).