Home Concerti 40ma edizione dell'”Inntöne – Jazz Am Bauernhof”, festival austriaco che da 40...

40ma edizione dell'”Inntöne – Jazz Am Bauernhof”, festival austriaco che da 40 anni si svolge oramai come un rito…

79
0

Nella campagna dell’ovest austriaco, a pochi chilometri dal confine con la regione tedesca della Baviera, si tiene da ben quarant’anni un festival che valorizza la bellezza dell’ambiente rurale e la rustica atmosfera di una antica fattoria in disuso, che offre diversi spazi per una kermesse musicale che attira tanti appassionati accorsi da ogni parte con tende, camper, roulottes, per partecipare a un rito guidato con entusiasmo e professionalità da Paul e Mirja Zauner.

Chi scrive ha seguito alcuni degli innumerevoli concerti tenutisi nel fine settimana, a partire da quello, memorabile, di The Messthetics and James Brandon Lewis. Chi ha avuto la fortuna di ascoltarli dal vivo sa cosa attendersi da questo quartetto, a oggi testimoniato discograficamente solo da un disco edito nel 2024 su etichetta Impulse! In un mondo sempre più tristemente volto a erigere o rinforzare confini, muri, separazioni, il prezioso lavoro svolto da questi musicisti (due provenienti dal rock, precisamente dai Fugazi, il chitarrista dal jazz elettrico, e Lewis nome di punta del sax tenore jazz) è quello di ricucire lo strappo, ricomporre la frattura creatasi nel tempo fra appassionati di rock e di jazz, che si ritrovano oggi affratellati dalla potente energia che scaturisce dall’incrocio fra la inconfondibile voce sassofonistica di JB e la corroborante chitarra di Pirog, sopra le solidissime fondamenta musicali edificate dal bassista Joe Lally e dal batterista Brandon Canty. Ennesimo concerto indimenticabile da parte di una formazione che va assolutamente ascoltata dal vivo.

Heidi Vogel, nota come cantante solista della Cinematic Orchestra, attiva a Londra, si è esibita in trio con il pianista Liam Noble e Jiri Slavik al contrabbasso, per un set delizioso, un excursus su preziose composizioni statunitensi di carattere a volte sentimentale, accompagnata con stile e somma delicatezza, mostrando una bella cifra personale, debitrice comunque di grandi precedenti come quelli di Betty Carter e Carmen McRae. Tra Never Let Me Go, Prelude to a Kiss, Caravan, per concludere con una versione davvero toccante della coltraniana Naima.

Dalla Sardegna, The Face of God, i Tenores di Orosei (Piero Pala, Mario Siotto, Luca Frau, Emanuele Ortu) ed Ernst Reijseger, a consumare il loro rito ricco di fascino, di tradizione che si perpetua e si rende contemporanea grazie al fondamentale ruolo del violoncellista. Iniziano tra il pubblico, insieme a Reijseger, per poi salire sul palco a estasiare il pubblico, letteralmente rapito, con il Kyrie eleison e il Miserere, in una magica intesa tra voci e solista, per poi passare a brani ritmati della tradizione laica di protesta come Nanneddu meu, e ancora a spazi solistici per il violoncello e per il quartetto.

A seguire, il trio di ottoni B3+: Franz Hackl tromba, John Clark corno francese e Dave Taylor trombone basso. Clark, oggi ottantenne, già nelle orchestre di Carla Bley e Gil Evans, ma con una miriade di altre collaborazioni, nel jazz e nel pop; Taylor, altrettanto noto, con esperienze eccellenti nel jazz e nel pop e nella musica classica; Hackl, l’unico austriaco del trio, con una grande storia musicale che comprende anche la Vienna Art Orchestra. Insieme i tre traboccano swing, senza alcun bisogno di una sezione ritmica alle spalle, eseguendo un repertorio di composizioni originali (tra cui una bella ballad composta da Clark), e classici come la gillespiana Con Alma, con arrangiamenti preziosi. Trio molto affiatato, che valorizza le grandi potenzialità degli strumenti evidenziandone le funzioni espressive e comunicative.

Nell’anomalo e suggestivo spazio del St. Pig Pub, il Salesny_Rom_Quintet feat. Carlton Holmes (Mario Rom tromba, Clemens Salesny alto, clarinetto basso, Carlton Holmes piano, Wolfram Derschmidt basso e Dusan Novakov batteria), per un sentito e conciso omaggio alle intramontabili composizioni di Eric Dolphy, eseguite con convinzione e assoluta perizia.

Resta da dire dell’ultima, fittissima giornata del festival, iniziata in tarda mattinata con un sorprendente quintetto, esordiente in Austria, ma ancora pochissimo conosciuto in Europa: il gruppo del cantante Tyreek McDole. Accompagnato da Gary Jones III alla batteria, Dan Finn al basso, Dylan Band al tenore e soprano e Karim Blal al pianoforte, il venticinquenne lascia già intravedere un futuro da star: grande sicurezza sul palco, dove suona anche una tastiera e le percussioni, splendida voce da crooner, bella grinta blues, e un repertorio molto efficace che spaziava da brani originali a composizioni di Alice Coltrane, Ray Charles, Gillespie (Umbrella Man), Monk (Ugly Beauty, con il testo di Carmen McRae), Leon Thomas-Pharoah Sanders (The Sun Song). Decisamente efficace il gruppo, anch’esso composto di giovani, con buoni equilibri. Facile prevedere che lo ascolteremo presto anche in Italia.

Dalla Francia, il Trio del chitarrista Titi Robin, con il contrabbasso di Chris Jennings e il flauto indiano di Rishab Prasan. Musica modale acustica, di matrice orientale, dove il contrabbassista forniva una buona base ritmico-armonica di matrice jazzistica, mentre chitarra e flauto su muovevano talvolta all’unisono, creando atmosfere raffinate. Il flautista ha utilizzato in un brano anche la voce ritmicamente (tala).

L’Italia, che il giorno prima era stata rappresentata dai Tenores sardi, era presente anche con il trio della pianista e cantante Francesca Tandoi (Stefano Senni al contrabbasso e Giovanni Campanella alla batteria). Nota per la sua encomiabile adesione al linguaggio del bebop, ha eseguito, ben assecondata dai partner, un set fluido e scorrevole, esibendo la sua maestria tecnica sui tempi veloci e notevole delicatezza nell’esecuzione delle ballad, dando adeguato spazio al contrabbassista (uno dei nomi più rispettabili dello strumento in Italia).

Ancora buona musica del quartetto di Yaron Herman, con Maria Grand al tenore, Haggai Cohen-Milo al contrabbasso e Ziv Ravitz alla batteria. La formazione, protagonista delle recente produzione discografica “Radio Paradise”, ha presentato le musiche del disco. Ottima la sezione ritmica e i solisti, un post bop avanzato e senza sbavature, e un Herman che si conferma pianista e leader di qualità, tra composizioni valide e variegate.

Finale danzante con il gruppo del cantante originario di Trinidad Anthony Joseph, con Dave Omuku al basso. Spoken word, grove, una voce potente e assertiva, un gruppo impegnato a sviluppare un hiphop trascinante, per chiudere degnamente l’edizione n. 40 di questo festival, che trova la sua forza nella varietà dell’offerta musicale andando incontro ai gusti di diverse fasce di pubblico, una formula decisamente vincente.