Cormòns, 23-26 ottobre 2025
Curatore del Festival: Enrico Bettinello
Lo scorrere del tempo, a volte cieco, impietoso, aveva prematuramente privato il festival di Cormòns, del suo direttore artistico, il compianto Mauro Bardusco. L’Associazione Controtempo, attiva da anni sul territorio di confine tra Italia e Slovenia, sul quale organizza diversi eventi, è corsa pertanto ai ripari affidando la direzione artistica della 28ma edizione a un nome noto dell’ambiente jazzistico italiano, Enrico Bettinello. E Bettinello, pur non stravolgendo l’impianto del festival come si era andato consolidando negli anni sotto la precedente direzione, ha voluto imprimere una sua visione, concependo un programma che ha accostato nomi noti dal jazz statunitense ed europeo ad alcune tra le realtà più sorprendenti del jazz italiano e transalpino.
Tra le caratteristiche principali del festival, va citato il rapporto con il territorio. Pur utilizzando per i concerti più affollati (il sold out è quasi una costante per Jazz & Wine of Peace) spazi ampi come il Teatro Comunale di Cormòns, il Nuovo Teatro Comunale di Gradisca d’Isonzo, i Kulturni Dom a Gorizia e a Nova Gorica, il festival si tiene anche in abbazie, aziende agricole, castelli, ville, cantine, in una costante celebrazione di una delle più belle zone del territorio italiano, ricca di produzioni eccellenti, garantendo una accoglienza di altissima qualità, e un’atmosfera sempre fresca e gradevole, che attira tanto pubblico principalmente da Italia, Austria e Slovenia. Tra le innovazioni apportate da Bettinello, la diversa disposizione del pubblico – negli spazi ove era possibile-, ad anfiteatro, come in una sorta di abbraccio degli ascoltatori ai musicisti.
Così è stato anche per i “Senseless Acts of Love” di Rosa Brunello, a Villa Attems. Atti d’amore non certo insensati, ma invece profondamente pieni di senso quelli concepiti dalla bassista e contrabbassista, attorniata da una formazione che vedeva Marco Frattini alla batteria, Enrico Terragnoli alla chitarra, Yazz Ahmed alla tromba e Tamar Osborn al sax baritono e flauto. Al secondo album per l’etichetta statunitense Domanda Music, Brunello, oggi attiva anche nel formidabile quartetto We Exist! di Dee Dee Bridgewater, è in una fase estremamente creativa della sua carriera, come ampiamente dimostrato dal suo set, con un gruppo coordinato al millimetro, composizioni valide e variegate, un piglio essenziale, che ha colto esattamente nel segno. Grande lavoro dei fiati, fondamentale l’apporto di Terragnoli, travolgente il groove di Frattini, la leader sempre vigile e attenta a proporre assolo pregnanti, per una musica densa, varia, convincente e coinvolgente, attuale ma con solide radici.
Proseguendo senza un ordine preciso, passerei al trio “Relevé” di Anaïs Drago, con Federico Calcagno al clarinetto basso e Max Trabucco alla batteria. Fresca vincitrice dell’ambitissima Seifert Competition, concorso internazionale per strumentisti ad arco nel jazz, a Villa Codelli Drago ha proposto un set di altissima qualità, incrociando i suoi violini (acustico ed elettrico), suonati con tecnica formidabile e ampio utilizzo di effetti, con i due partner, esprimendo una forte carica ritmica e uno swing traboccante. Composizioni varie, ampi spazi improvvisativi, diverse atmosfere sempre originali e creative, uso della voce, Calcagno e Trabucco perfettamente a loro agio nei ruoli assegnati, per una musica da ascoltare e riascoltare.
Sempre tra i giovani, la contrabbassista svizzera Louise Knobil, giustamente celebrata in Francia dalla rivista Citizen Jazz, anche lei in trio con il clarinetto basso di Chloé Marsigny e la batteria di Vincent Andreae, in un pregevole, fresco e divertente lavoro sulla canzone (suona il contrabbasso e canta alla maniera di Esperanza Spalding), con vamp, walking, testi ironici e frizzanti, grande energia, brani originali e bis sulle note di Cheek to cheek.
A inaugurare il festival, la mattina del 23 ottobre, alla Cantina Jermann, il duo “Quest of Invisible” di Naïssam Jalal e Claude Tchamitchian. Delicati e incantevoli profumi d’Oriente emanavano dalle composizioni della flautista e cantante francese che si alternava fra il flauto traverso, il ney e il canto, a volte inframezzato al suono del flauto, avvalendosi della presenza rassicurante e ieratica del contrabbassista, che forniva una solidissima base ai voli solistici e al canto, altamente suggestivo. Ma nel suono della Jalal è presente anche una totale padronanza del linguaggio jazzistico, in una concezione di musica totale, contemporanea e a un tempo antica.
Tania Giannouli, con il suo trio comprendente Jean Paul Estiévenart alla tromba e Kyriakos Tapakis all’oud, ha recato le sue sempre incantevoli atmosfere, suscitate dalla magica fusione tra suoni occidentali e orientali, con delicate melodie di stampo classico, suggestioni minimaliste, sempre dense di mediterraneità. Il trio si muove con dimestichezza anche sui tempi veloci, con ottimo interplay, nell’esecuzione delle belle composizioni originali contenute nell’album «In Fading Light», dai temi sognanti, pregni di romanticismo. Ma il suono di Giannouli prevede anche l’uso del piano preparato, con funzioni creativamente percussive, per una più ampia varietà sonora, evocando profumi della terra greca.
The Necks è il nome di un trio australiano attivo da lungo tempo, precisamente dal 1987. Sono il pianista Chris Abrahams, il contrabbassista Lloyd Swanton e il batterista Tony Buck. La formazione, quella di un tipico piano trio acustico, non deve trarre in inganno: la musica di The Necks è unica, peculiare, diversa da ogni altra. Ha le sue regole, e richiede agli ascoltatori di lasciarsi guidare con fiducia verso una dimensione musicale altra. È il pianoforte a determinare le direzioni del concerto: un arpeggio di taglio delicato e minimalista chiama a sé il suono archettato del contrabbasso, seguito dai mallet del batterista, in un crescendo quasi inavvertibile, con un senso del tempo etereo, dilatato, per un flusso sonoro senza fretta, trasportando l’uditorio in una sorta di universo parallelo, distante dalla realtà. La musica si sviluppa con maestosità, vibrando di una sua solennità, tonale, modale, bucando delicatamente il silenzio, con tatto e discrezione. Poi il pianista si fissa su una figura ripetuta fino all’ossessione, uno stallo che richiede con forza uno sbocco, che ogni ascoltatore a questo punto dentro di sé richiede. E ciò lentamente, quasi inavvertitamente avviene, con il conseguente appagamento. Queste le regole, questo il meccanismo, una sorta di lavoro psicologico che crea tensione e poi la stempera, quasi in un sottile gioco a rimpiattino con l’ascoltatore. Decisamente sorprendente.
James Brandon Lewis, artista e tenorsassofonista dell’anno per il Down Beat Critics Poll, in tour in Europa con il suo ottimo quartetto (Aruan Ortiz al pianoforte, Brad Jones al contrabbasso e Chad Taylor alla batteria), gruppo con il quale ha registrato in questi giorni per la Intakt, ha suonato al Teatro Comunale di Cormòns. Lewis vanta una corposa produzione discografica, è attivo in diverse formazioni da leader, e non delude mai le aspettative di organizzatori e pubblico. Così è avvenuto, in un set ampio, con dei partner formidabili, dove JB ha eseguito diverse sue composizioni che veicolano al meglio il fuoco dei suoi fraseggi, ma anche un paio di brani lenti, che rivelano il suo côté più intimo, introspettivo, concedendo di godere di tutta la bellezza del suo suono sullo strumento.
L’Associazione Controtempo ha deciso di assegnare ogni anno un premio intitolato a Mauro Bardusco. Il primo è andato a William Parker, presente al festival in trio con Cooper-Moore e Hamid Drake. Senza il suo contrabbasso, ma con diversi strumenti etnici a fiato e a corde, Drake alla batteria e al tamburo a cornice e Cooper-Moore a diversi strumenti autocostruiti, hanno eseguito un set vigorosamente percussivo, ad alta tensione emotiva. Al centro del set, Drake, che nei tempi recenti fa sempre più uso della sua bellissima voce, ha intonato un blues, che è risultato il momento clou, ricreando del blues il senso vero e più profondo.
Nubya Garcia, supportata dal suo trio, ha mostrato una certa maturazione, con un buon fraseggio e buona sonorità al sax tenore, anche se a tratti mascherato da effetti. La sua musica ha acquisito maggiore profondità, anche se non è ancora esente da una certa epidermicità.
L’Enoteca di Cormòns ha ospitato l’esposizione di uno splendido progetto fotografico dell’artista sloveno Žiga Koritnik, Brötzmann, In My Focus. Fotografo preferito da Peter Brötzmann, Koritnik lo ha seguito per lunghi anni, sin dal 1994, producendo un volume di rara bellezza, che del musicista fotografa l’essenza, in un bianco e nero di qualità ineguagliabile. Le pareti dell’Enoteca sono state impreziosite da un gran numero di fotografie che coglievano l’artista in molti dei suoi momenti creativi.
E ancora tanta carne al fuoco: il duo “On The Move” di Michele Bonifati (chitarra, elettronica, voce) e Beatrice Arrigoni (voce), per un omaggio riuscito alla pregnante poesia di Michael Rosen sul tema delle migrazioni, del quale hanno letto – e cantato – alcune poesie tratte dall’omonimo libro; il trio sloveno dei Lilamors, per un approccio minimalista e delicato alla poesia, con testi anche di Emily Bronte; le musiche medievali e rinascimentali in jazz di Valentina Fin, con Marcello Abate e Federico Pierantoni; l’analoga rilettura di arie e madrigali da parte di Simona Severini con Daniele Richiedei e Giulio Corini; il concerto finale del workshop tenuto da Dan Kinzelman con gli allievi del Conservatorio di Trieste; la musica forse destinata a una fruizione migliore che non da seduti della band attiva a Berlino Y-Otis, con predominanza di elettronica, per un lavoro collettivo con molta improvvisazione in un flusso instancabile; gli omaggi al cinema d’azione della band milanese Calibro 35; l’elettronica martellante di Maria Chiara Argirò in trio; il solo dedicato a Mauro Bardusco di Silvia Bolognesi presso la cantina Klanjscek; il duo “Cinema Italia” di Luca Zennaro e Michelangelo Scandroglio (chitarra e contrabbasso) all’Accademia Vine Lodge.





