Premessa
In questi mesi abbiamo affrontato nelle parti precedenti di questo studio, l’opera e il lavoro di George Gershwin, il suo ruolo musicale e storico, nell’ ambito della musica americana e del jazz.
È giunto il momento in questa quarta parte del nostro lavoro, di parlare del contributo dato all’opera del compositore, da parte di suo fratello Ira. Prima di tracciare un profilo e analizzare l’importanza storica dell’opera letteraria di questo autore, ci dedichiamo nei limiti di questo studio, a riassumere velocemente, il ruolo e l’importanza della forma canzone.
La nostra analisi, tenterà di ricostruire gli elementi storici di base, i collegamenti tra la cultura europea e quella americana in questo ambito, e in fine sintetizzare l’apporto in termini artistici, tecnici e sociali di questa struttura anche relativamente al jazz.
Le parole delle canzoni, nel corso del tempo, hanno inizialmente affiancato, e lentamente, quasi sostituito, la fruizione della poesia, nell’uso comune e anche nell’immaginario popolare. In questo studio, tenteremo di raccontare la loro importanza, una parte della loro storia e evoluzione, e il riflesso nell’ambito della canzone scritta negli Stati Uniti d’America.
Cercheremo di tracciare una parte del loro percorso, prendendo in esame soprattutto l’arco di tempo compreso tra l’inizio del XIX secolo e durante i primi trenta anni del 900′.
Questa premessa, ci permetterà, speriamo, nel nostro prosieguo, di affrontare l’opera e il lavoro di Ira Gershwin, all’interno di un contesto storico, artistico e letterario meglio abbozzato.
Poesia e canzone

Si tratta di due mondi, completamente diversi: la poesia è una forma d’arte letteraria che utilizza il linguaggio in modo estetico e ritmico per evocare emozioni, immagini e idee. La sua origine risale alle antiche civiltà, dove veniva utilizzata per raccontare storie, celebrare eventi e trasmettere conoscenze, si distingue dalle parole scritte per le canzoni principalmente per la sua struttura e il suo scopo.
Mentre la poesia può essere libera da vincoli musicali e seguire schemi ritmici e metrici variabili, le parole delle canzoni sono strettamente legate alla melodia e al ritmo della musica.
Le canzoni, inoltre, richiedono una maggiore attenzione alla ripetizione e alla semplicità per facilitare la memorizzazione e l’esecuzione.
In termini tecnici, la poesia spesso utilizza dispositivi letterari come l’allitterazione, l’assonanza, la metafora e la similitudine per creare profondità e complessità. Le parole delle canzoni, invece, tendono a essere più dirette e accessibili, pur mantenendo in alcuni casi, un certo livello di poeticità.
La differenza principale risiede nell’interazione tra testo e musica: mentre la poesia si basa esclusivamente sulla parola scritta, le canzoni combinano testo e melodia per creare un’esperienza artistica completa.
La poesia e le parole delle canzoni condividono molte caratteristiche, ma si differenziano per la loro relazione con la musica e per il modo in cui utilizzano il linguaggio per raggiungere i loro obiettivi artistici.
La canzone ha progressivamente sostituito il ruolo sociale della poesia attraverso diverse tappe storiche e cambiamenti culturali.
Durante il Rinascimento e il Barocco, la poesia era una forma d’arte fondamentale, spesso accompagnata dalla musica. Tuttavia, la musica era considerata un complemento alla poesia, piuttosto che una forma d’arte autonoma.
Nel XIX secolo, la poesia continuava a essere una forma d’arte dominante, ma la canzone iniziava a guadagnare popolarità grazie all’opera e alle romanze.
Le romanze

Inizialmente sviluppate in Francia come “romance”, queste composizioni erano caratterizzate da melodie semplici e testi poetici, spesso accompagnati da strumenti a tastiera. Nel XIX secolo, la romanza ha guadagnato popolarità grazie a compositori come Franz Schubert e Robert Schumann, che hanno scritto numerose romanze per voce e pianoforte.
Durante la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la romanza ha continuato a evolversi, con compositori italiani come Francesco Paolo Tosti che hanno contribuito a definirne lo stile.
Alcune delle romanze più famose di questo periodo includono “Musica proibita” di Stanislao Gastaldon e “Mattinata” di Ruggero Leoncavallo. Queste composizioni hanno giocato un ruolo importante nella storia della musica, offrendo un mezzo espressivo per l’interpretazione vocale e la poesia musicale.

Fonografia e canzone: un binomio indissolubile
Ma è con l’avvento della fonografia e delle prime registrazioni musicali, che la canzone ha guadagnato ulteriore popolarità. Le canzoni potevano essere registrate e riprodotte, raggiungendo un pubblico molto più ampio rispetto alla poesia scritta.
La forma canzone
La forma canzone ha svolto un ruolo cruciale nella cultura musicale dei primi trent’anni del XX secolo, influenzando profondamente la società e l’arte.
La canzone, con la sua forma, e grazie alla sua struttura, ha risposto a esigenze sociali, sia in termini di contenuto, che relativamente ai termini temporali. La sua forma breve, è stata in grado di soddisfare il mutato rapporto, che la società ha via via stabilito con l’arte e con la sua fruizione.
Il tempo della canzone
Una canzone tipica dura tra i 3 e i 5 minuti, in questo spazio di tempo esiguo, deve sviluppare interamente il suo universo, sia da un punto di vista musicale che letterario.
È uno strumento adatto al mondo industriale, che andava sviluppandosi tra la fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso. Una società nella quale l’urbanizzazione, l’inizio della cementificazione, e la crescita esponenziale delle industrie, hanno determinato uno spostamento (migrazione di massa) dalle aree rurali alle città, da parte di milioni di persone, in cerca di lavoro e migliori condizioni di vita.
Arte, tempo e società
In questo scenario, la fruizione dell’ arte si è adattata alla precarietà umana, economica, sociale, e al poco tempo disponibile, da dedicare ai bisogni non primari.
L’opera lirica, a differenza della canzone, è da sempre stata riservata ai ceti più abbienti, o alla nobiltà, e sviluppa il suo contenuto su una dimensione temporale quasi improponibile, rispetto ai ritmi, e alle mutate esigenze del mondo industriale. Ha una complessità strutturale non adatta alla mutazione sociale avvenuta in maniera veloce e possente nel corso dei secoli scorsi.
Evoluzione della forma
La forma canzone, inoltre nella sua storia, che rimanda direttamente alle forme arcaiche, come la ballata (XIII secolo), il madrigale (XIV secolo), la villanella (XVI secolo), le frottole (fine XV – inizio XVI secolo), le ciaccone (XVI secolo), le gagliarde (XVI secolo), le passacaglie (XVII secolo), sino ad arrivare anche alla chanson francese (Medioevo e Rinascimento) e la lied tedesca (Rinascimento e Barocco), anche da un punto di vista letterario, ha adeguato i temi trattati, rendendoli più aderenti alle esigenze e alle trasformazioni della società.
Elementi tecnici/letterari della forma canzone
Da un punto di vista musicale, la maggior parte di queste composizioni, ha una struttura strofica, dove la stessa melodia viene ripetuta per ogni strofa del testo. Alcune, come la ballata, raccontano storie attraverso la musica, spesso con un forte elemento narrativo.
Elementi musicali
Dal punto di vista musicale, molte di queste forme, a partire dal madrigale, utilizzano la polifonia, dove più voci indipendenti si intrecciano. Forme come la villanella e le frottole tendono ad avere melodie semplici e orecchiabili. Le ciaccone, le gagliarde e le passacaglie sono basate su ritmi di danza, che le rendono vivaci e ritmiche.
Anche se molte di queste forme sono principalmente vocali, spesso erano accompagnate da strumenti come il liuto, la viola da gamba e altri strumenti a corda. Questi elementi comuni hanno contribuito a creare una ricca tradizione musicale che ha influenzato la musica occidentale per secoli. Esse, sono il terreno su cui è fiorita secoli dopo, una parte della cultura popolare legata alla forma canzone, così come la intendiamo oggi.
Le ballate di origine europea
Le ballate irlandesi e, più in generale, i canti popolari europei hanno avuto un’influenza significativa sulla forma canzone sviluppatasi negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo. Le ballate irlandesi hanno radici profonde nella tradizione celtica e sono state tramandate oralmente per secoli.
Le prime forme di danza e musica irlandese furono probabilmente importate dalle popolazioni celtiche. Durante il Medioevo, le danze irlandesi furono influenzate dalle incursioni vichinghe e dalle usanze degli Anglo-Normanni. Nel XVI secolo, le danze come The Trenchmore, The Irish Jig e The Rinunce Fada furono tra le prime a essere documentate.
Nel XVIII secolo, i Dance Masters viaggiavano di villaggio in villaggio insegnando danze di gruppo e soliste. Le ballate europee, inclusi i canti popolari del Nord Europa, della Francia e del Regno Unito, hanno influenzato profondamente la forma canzone americana, essi spesso raccontavano storie attraverso una sequenza di strofe, una struttura che è stata poi adottata come standard della canzone anche nelle epoche successive.
Questo modello narrativo ha permesso di raccontare storie complesse in modo semplice e accessibile. Le melodie e i ritmi delle ballate europee hanno influenzato la musica folk americana, semplici e ripetitive le ballate europee sono state adattate e trasformate in canzoni popolari americane. Queste composizioni trattavano spesso temi universali come l’amore, la perdita, la guerra e l’avventura, questi temi sono stati ripresi e adattati nelle canzoni americane, rendendole rilevanti per un pubblico più ampio.
Canzone e tecnologia
Con l’avvento della tecnologia di registrazione e la diffusione della radio, le canzoni americane hanno potuto raggiungere un pubblico più vasto. La durata limitata dei primi dischi (2-3 minuti) ha imposto una grande economia di mezzi verbali e musicali, facendo sì che la forma canzone rispettasse questi limiti.
Molte delle canzoni prodotte in questo periodo erano influenzate dalle ballate europee in termini di struttura e melodia. La forma canzone del musical americano, con il suo chorus in 16 o 32 battute e la forma AABA, è un esempio di come le influenze europee siano state adattate e trasformate in un nuovo contesto culturale.
Tra le ballate conosciute europee in questa breve disanima, velocemente citiamo: “Barbara Allen” (Inghilterra), “The Unquiet Grave” (Inghilterra), “The Parting Glass” (Irlanda), “La Belle Dame sans Merci” (Francia) e “Herr Mannelig” (Svezia).
Queste composizioni sono da intendersi come esempi emblematici di canti popolari che hanno influenzato la forma canzone americana.
“Barbara Allen” è una ballata tradizionale inglese che racconta la storia di una giovane donna che rifiuta l’amore di un uomo morente, solo per pentirsi e morire di dolore poco dopo.
“The Unquiet Grave” è una ballata inglese/irlandese in cui il dolore di un giovane per la morte del suo vero amore è così profondo da disturbare il suo riposo eterno.
“The Parting Glass” è una canzone tradizionale scozzese, spesso cantata alla fine di una riunione di amici, che esprime il rammarico per la separazione ma anche la gioia per i bei momenti trascorsi insieme.
“La Belle Dame sans Merci” è una ballata scritta dal poeta inglese John Keats nel 1819, che racconta l’incontro tra un cavaliere e una bellissima ma ingannevole dama che lo condanna a un destino infelice.
“Herr Mannelig” è una ballata svedese che narra la storia di un troll femmina che propone matrimonio a un giovane uomo umano, offrendo molti doni, ma viene rifiutata perché non è cristiana.
Esempi di Versi, e minime traduzioni, sono in questo breve studio, utili a determinare la cifra letteraria di questi brani, che hanno fatto da ponte tra culture e epoche diverse:
“Barbara Allen”: “All in the merry month of May, When green buds they were swellin’, Young Jemmy Grove on his death-bed lay, For love of Barbara Allen.” (Tutto nel felice mese di maggio, quando i germogli verdi stavano sbocciando, il giovane Jemmy Grove giaceva sul letto di morte, per amore di Barbara Allen.)
“The Unquiet Grave”: “The wind doth blow today, my love, And a few small drops of rain; I never had but one true-love, In cold grave she was lain.” (Il vento soffia oggi, amore mio, e poche piccole gocce di pioggia; non ho mai avuto che un solo vero amore, nella fredda tomba è stata deposta.)
“The Parting Glass”: “Of all the money that e’er I had I spent it in good company, And all the harm I’ve ever done Alas it was to none but me.” (Di tutto il denaro che ho mai avuto, l’ho speso in buona compagnia, e tutto il male che ho mai fatto, ahimè, è stato solo a me stesso.)
“La Belle Dame sans Merci”: “O what can ail thee, knight-at-arms, Alone and palely loitering? The sedge has withered from the lake, And no birds sing.” (Oh, cosa ti affligge, cavaliere in armi, solo e pallido vagabondo? La canna è appassita dal lago, e nessun uccello canta.)
“Herr Mannelig”: “Early one morning before the sun did rise, And the birds sang their sweet song, The mountain troll proposed to Sir Mannelig.” (Una mattina presto, prima che il sole sorgesse, e gli uccelli cantavano la loro dolce canzone, il troll di montagna propose a Sir Mannelig.)
La canzone negli Stati Uniti
Tornando al nostro tema, e il ruolo avuto dalla canzone nel corso dei primi anni del 900’ negli Stati Uniti, è fuori da ogni dubbio che essa sia alla base, con le sue diverse forme, di molta letteratura musicale e della tradizione orale, che ha determinato alcuni degli elementi storici del jazz.
La forma canzone ha influito sin dalle origini sulla musica afro/americana, e ha protratto i suoi influssi per almeno sei decenni, nell’ambito del jazz.
Negli Stati Uniti, i primi decenni del ‘900 furono caratterizzati da una straordinaria fioritura della musica popolare. La canzone divenne un mezzo potente per esprimere le esperienze e le aspirazioni della società americana. Il jazz, deve molto alla forma canzone, sulla quale è costruita, insieme al ragtime e al blues naturalmente, una gran parte della sua storia.

Canzone e società uno sviluppo parallelo
La nascita e lo sviluppo delle forme canzone negli Stati Uniti rappresentano un fenomeno musicale complesso e affascinante, frutto di una straordinaria mescolanza di culture, tradizioni e circostanze storiche.
Gli Orphéons, ensemble corali di origine francese, si diffusero nel XIX secolo nelle comunità franco-americane, specialmente in Louisiana, proponendo un repertorio polifonico rigorosamente strutturato secondo una metrica strofica con versi isosillabici, arrangiamenti corali a quattro voci (SATB) e un’armonia tonale classica.
Contemporaneamente, nel profondo Sud degli Stati Uniti, le Work Songs divennero la voce collettiva degli schiavi afroamericani, utilizzate per sincronizzare il lavoro nei campi di cotone e alleviare la fatica. Questi canti presentavano una struttura in call and response, con versi liberi ispirati dai ritmi naturali del lavoro, sincopi accentuate e melodie modali basate su scale pentatoniche.
Alcuni di questi canti nascevano spontaneamente nei campi, traendo ispirazione dal rumore degli strumenti agricoli e dal battito coordinato degli attrezzi, creando così una forma musicale tanto funzionale quanto evocativa.
A questa stessa matrice appartengono gli Spirituals, che nel corso del XIX secolo si svilupparono come espressione religiosa e di resistenza spirituale, con strutture strofiche ricche di ripetizioni e progressioni armoniche modali, spianando la strada all’emergere del Gospel, che avrebbe conquistato le chiese afroamericane con una forma più codificata e regolare, caratterizzata da un’alternanza tra strofa e ritornello, da armonie più elaborate e da frequenti modulazioni.
In parallelo, si assisteva all’evoluzione della Song Americana, che tra XIX e XX secolo si consolidò attraverso le ballate folk, le canzoni da saloon e successivamente, come abbiamo analizzato nel corso degli altri appuntamenti del nostro studio, attraverso il repertorio commerciale del Tin Pan Alley, cuore pulsante dell’industria musicale di New York. Nella sua struttura, si evidenziano frequentemente forme AABA, metri regolari (spesso ottonari o decasillabi) e progressioni armoniche standardizzate come il celebre I-IV-V-I, questa nuova tipologia di canzone trovò diffusione capillare nel panorama statunitense, gettando le basi per il successivo sviluppo dell’industria sonora.
In questo straordinario percorso evolutivo, le varie strutture metriche e armoniche hanno contribuito a creare un’eredità musicale senza pari, testimoniando la capacità della musica popolare americana di adattarsi, trasformarsi e affermarsi come linguaggio universale capace di raccontare storie di fatica, fede, resilienza e intrattenimento, fino a influenzare i generi contemporanei e mantenere viva la sua essenza attraverso i secoli.
“contrafact”
La forma canzone, è stata anche il telaio sul quale si è sviluppata anche una parte del jazz degli anni ’40, molti brani scritti nel “periodo definito be bop”, e divenuti successivamente standard, furono costruiti su canzoni già esistenti, rielaborando melodie e strutture armoniche in modi innovativi.
Gli esempi sono tanti, per brevità e a puro titolo di esempio citiamo: Ornithology” di Charlie Parker, basato sulla progressione armonica di “How High the Moon” di Morgan Lewis e Nancy Hamilton (1940). Un altro esempio è “Groovin’ High” di Dizzy Gillespie, che prende ispirazione da “Whispering” di John Schonberger, Richard Coburn e Vincent Rose (1920).
Queste rielaborazioni non solo mostrano l’abilità tecnica e creativa dei musicisti bebop, ma anche il loro rispetto e conoscenza per la tradizione musicale precedente. Rielaborando e reinterpretando melodie esistenti, prese in prestito anche dalla forma canzone, dettero vita a composizioni che mantennero una continuità culturale e fornirono un contesto condiviso sul quale sperimentare le nuove forme espressive.
Canzone media e società
La canzone ha giocato un ruolo cruciale nella società statunitense dal principio del XX secolo agli anni ’30, influenzando e riflettendo i cambiamenti sociali, culturali e politici del periodo. Ha contribuito a creare un senso di identità e comunità, in un’epoca segnata dalla segregazione razziale. Ha raccontato le storie della vita quotidiana dei lavoratori, espresso le difficoltà e le aspirazioni della classe operaia, specialmente durante la Grande Depressione, durante il periodo definito “Swing”, ha offerto un’uscita di svago e un’opportunità di evasione. Ha svolto un ruolo cruciale nei musical di Broadway, fungendo da veicolo principale per la narrazione e lo sviluppo dei personaggi
Alla base della sua diffusione capillare, e della sua adozione come strumento di comunicazione transgenerazionale, c’è stato il ruolo della radio, un medium fondamentale, per la diffusione della cultura nel periodo che stiamo esaminando.
Un po’ di repertorio
Tornando alla canzone americana, ai suoi temi e alla sua diffusione, abbiamo appena il tempo di citare alcuni brani, tra i più iconici e conosciuti della tradizione popolare americana, a puro titolo di esempio e come : “After You’ve Gone” (1918), una canzone popolare del 1918 composta da Turner Layton con testi di Henry Creamer. La canzone è stata registrata per la prima volta da Marion Harris il 22 luglio 1918 e pubblicata dalla Victor Records, divenne così popolare che la copertina dello spartito fu decorata con piccole fotografie dei 45 uomini che la resero famosa, tra cui Paul Whiteman, Rudy Vallée, B.A. Rolfe, Guy Lombardo e Louis Armstrong. Tra le versioni più interessanti quelle di Bessie Smith (1927), Louis Armstrong (1929), Bing Crosby con Paul Whiteman (1929,Jack Teagarden (1930), Fats Waller con Benny Payne (1930), Eddie Lang, Joe Venuti, Jack Teagarden, Benny Goodman (1931), Duke Ellington (1933).
“Indiana” (Back Home Again in Indiana) (1917) composta da James F. Hanley con testi di Ballard MacDonald, pubblicata nel gennaio 1917, la canzone è diventata un classico del jazz. Tra le incisioni più importanti quella di Gladys Rice, Amy Ellerman e Betsy Lane Shepherd, registrata dal trio noto come The Homestead Trio, nel 1917. Nello stesso anno venne registrata in versione strumentale della Original Dixieland Jass Band.
Altro brano da inserire in questa breve carrellata, volta a evidenziare il ruolo della canzone, come elemento e letteratura divenuto repertorio condiviso nel jazz è “Darktown Strutters’ Ball”, una canzone scritta da Shelton Brooks e pubblicata nel 1917. La canzone è diventata un classico del jazz e uno standard popolare. Ispirata da un ballo reale a cui Shelton Brooks aveva assistito, è stata introdotta nel circuito degli spettacoli di vaudeville, dal trio di Benny Fields, Jack Salisbury e Benny Davis, e in seguito anche da Blossom Seeley e dalla cantante comica Sophie Tucker.
L’Original Dixieland Jazz Band ne ha registrato, nel Maggio 1917, una versione strumentale, che è diventata una delle prime registrazioni commerciali di jazz. Tra le versioni importanti quella di Ella Fitzgerald con la Chick Webb Band, Registrata nel 1936, e quella di Bing Crosby inclusa in un medley nel suo album “On the Happy Side” del 1962.
Il tema principale della canzone è la gioia e l’eccitazione di partecipare a un ballo elegante, con un’enfasi sulla moda, la musica e la danza. Il testo riflette l’importanza degli eventi sociali nella comunità afroamericana e celebra la cultura e lo spirito di questi momenti.
“I’ll be down to get you in a taxi, honey Better be ready ‘bout half past eight Now dearie, don’t be late I want to be there when the band starts playing”


Gli autori dei testi delle canzoni
Nell’ambito del nostro studio è giunto il momento di isolare e concentrarci sui nomi di alcuni degli autori di testi per canzoni, operativi tra la fine dell’ 800’ e i primi anni del secolo scorso, al fine di creare una piattaforma minima di riferimento, sulla quale orientarsi, e sulla quale, prossimamente concentrare ulteriormente il raggio e l’interesse delle nostre ricerche e riflessioni.
Resta inteso che i nomi che abbiamo evidenziato, rappresentano nell’ ambito della nostra indagine, sono solo la punta più visibile, di un movimento letterario, che ha operato nella canzone americana, fornendo un contributo importante e spesso poco analizzato.
Tra essi almeno ricordiamo: Gus Kahn (1886–1941), nato a Bruschied, in Germania, emigrò negli Stati Uniti nel 1890, stabilendosi a Chicago, dove intraprese una carriera di successo come paroliere. Il suo più grande successo fu “It Had to Be You” (1924), con musica di Isham Jones, e collaborò con compositori come Walter Donaldson (“Makin’ Whoopee”, 1928). Buddy DeSylva (1895–1950), nato a New York City, fu un paroliere e produttore teatrale, noto soprattutto per “Button Up Your Overcoat” (1928), con musica di Ray Henderson. Fece parte del celebre trio DeSylva, Brown e Henderson, insieme a Lew Brown (1893–1958), nato a Odessa, nell’Impero Russo, e trasferitosi negli Stati Uniti da bambino. Brown contribuì a grandi successi come “Don’t Sit Under the Apple Tree” (1942) con Sam H. Stept. Ballard MacDonald (1882–1935), nato a Portland, in Oregon, si affermò con “Back Home Again in Indiana” (1917), musicato da James F. Hanley, e collaborò con George Gershwin per “Somebody Loves Me” (1924). Jean Schwartz (1878–1956), nato a Budapest, in Ungheria, emigrò negli Stati Uniti e si stabilì a New York, dove scrisse “Chinatown, My Chinatown” (1910) con parole di William Jerome (1865–1932), con il quale formò un prolifico duo. Al Dubin (1891–1945), nato a Zurigo, in Svizzera, e trasferitosi negli USA, trovò grande successo con “Lullaby of Broadway” (1935), musicata da Harry Warren. Sam M. Lewis (1885–1959), nato a New York, scrisse il testo di “Rock-a-Bye Your Baby with a Dixie Melody” (1918) su musica di Jean Schwartz e collaborò con Joe Young (1889–1939) in brani come “Dinah” (1925), musicata da Harry Akst. Young, anch’egli newyorkese, formò con Lewis un duo di grande impatto, contribuendo al panorama musicale degli anni ’20. Grant Clarke (1891–1931), originario di Akron, Ohio, scrisse il testo di “Second Hand Rose” (1921) su musica di James F. Hanley e collaborò con Jean Schwartz in “I Love the Ladies” (1914). Questi autori hanno segnato profondamente la musica americana tra il 1900 e il 1925, lavorando con alcuni dei compositori più influenti dell’epoca e creando brani che sono diventati classici.
I Blues

In quell’anno, Handy incluse il brano nella sua raccolta “Blues: An Anthology—Complete Words and Music of 53 Great Songs”, consolidando la versione più nota del pezzo, che venne pubblicato nel 1926, e che da allora divenne un classico interpretato da numerosi artisti jazz e blues, come Bessie Smith e Billie Holiday; la celeberrima “When the Saints Go Marching In”, che inseriamo in questa disamina, pur essendo un brano appartenente alla tradizione gospel. Si tratta di un brano iconico, una canzone tradizionale nata come inno religioso, la cui prima registrazione conosciuta risale al novembre 1923, eseguita dai Paramount Jubilee Singers e pubblicata su Paramount Records. Sebbene il titolo sull’etichetta fosse “When All the Saints Come Marching In”, un vero e proprio inno del jazz. Rappresenta un vero e proprio ponte che unisce in se: tradizione orale, gospel, e “piattaforma” standard condivisa, per l’improvvisazione.
Nel 1927, Blind Lemon Jefferson pubblicò “Matchbox Blues”, registrandola ben tre volte: nel 1927, per l’etichetta OKeh Records e due volte per Paramount Records. La canzone è stata successivamente reinterpretata da molti artisti, tra cui Albert King, Larry Hensley, Roy Newman and His Boys, Carl Perkins, diventando una delle canzoni più influenti nella storia del blues. Infine, nel 1930, Lead Belly cantante e chitarrista di Mooringsport, Louisiana, noto per la sua voce potente e la sua abilità con la chitarra a dodici corde, oltre che per aver introdotto numerosi standard folk e blues, tra cui “Midnight Special”, una canzone tradizionale folk/blues che ha origini tra i prigionieri del sud degli Stati Uniti.
La versione più famosa è stata registrata da Lead Belly nel 1934, ma la canzone risale a molto prima. Il titolo si riferisce al treno “Midnight Special”, che portava speranza ai prigionieri, poiché si credeva che se la luce del treno li illuminava, sarebbero stati presto liberati. Il brano è stato registrato per la prima volta commercialmente nel 1926 da Dave “Pistol Pete” Cutrell. Lead Belly ha registrato diverse versioni della canzone, una delle quali con il Golden Gate Quartet nel 1940. Tra le sue incisioni anche “Cotton Fields” e “Boll Weevil”. Tra i suoi successi anche “Goodnight Irene”, una canzone che, pur avendo origini precedenti, divenne popolare grazie alla sua interpretazione.
A questo filone, come accennavamo, e alla sua storia contiamo prossimamente di dedicare uno studio approfondito, in questa ricerca, è stato doveroso dedicargli una minima attenzione, al fine di ricordare e evidenziare i due filoni paralleli e comunicanti, sui quali si è sviluppata la canzone negli anni che stiamo prendendo in esame.

Questi brani, sono solo degli esempi dello “sterminato catalogo” di canzoni e ballate tradizionali, tramandate anche in forma orale, che non solo hanno definito il blues dell’epoca, ma hanno anche influenzato generazioni di artisti successivi, ponendo le basi di un repertorio sul quale nel corso del tempo, sarebbero fiorite anche le strutture condivise delle improvvisazioni strumentali.
In questa frettolosa disamina, della canzone e del blues delle origini, non possiamo non citare ancora Bessie Smith, che nel 1923, pubblicò un 78 giri che includeva i brani “Down Hearted Blues” e “Gulf Coast Blues” per la Columbia Records, vendendo quasi 800.000 copie in pochi mesi, un numero straordinario per l’epoca.
IN EUROPA INTANTO…
In Europa, la canzone rifletteva le turbolenze politiche e sociali del periodo. Negli anni ’20 e ’30 del 900’, il cabaret e la chanson francese divennero popolari, con artisti come Maurice Chevalier che catturavano l’essenza della vita parigina con canzoni come “Valentine” (1925) e “Louise” (1929).
In Germania, il movimento espressionista influenzò la musica, ispirando tra gli altri l’opera di Kurt Weill che insieme a Bertolt Brecht creò opere teatrali e canzoni che esploravano temi sociali e politici, come la celebre “Mack the Knife” (1928).
In verità per completezza di racconto e dovizia di particolari, mi corre l’obbligo di ricordare, che al genio di Kurt Weill, vanno almeno ascritti due brani entrati di diritto nell’ antologia degli standard del jazz:

“September Song” (dall’opera “Knickerbocker Holiday”)
Si tratta di un classico senza tempo composto da Kurt Weill con testi di Maxwell Anderson. È stato introdotto per la prima volta da Walter Huston nel musical di Broadway “Knickerbocker Holiday” nel 1938. La canzone è diventata un successo immediato e ha trovato una nuova vita nel mondo del jazz, interpretata da numerosi artisti di spicco a cominciare da Frank Sinatra, la sua versione del 1946 ha raggiunto l’ottavo posto nelle classifiche di Billboard, non meno interessante quelle realizzate da Sarah Vaughan, e Ella Fitzgerald, e quella del 1945 realizzata dal clarinettista Artie Shaw, con la sua big band. Ma probabilmente la versione più struggente rimane quella di Chet Baker realizzata per la registrazione dell’ album “Chet” nel 1959, con Herbie Mann al flauto, Pepper Adams al sassofono baritono, Bill Evans al pianoforte, e Kenny Burrell alla chitarra.
Le parole
Il testo di “September Song” è stato scritto da Maxwell Anderson, La canzone parla del passare del tempo e della riflessione su come trascorrere i giorni preziosi dell’autunno con la persona amata. La song è nata dalla richiesta di Walter Huston, il padre del celebre regista John Huston, che non era un cantante professionista, di avere un assolo nel musical “Knickerbocker Holiday”, nel quale era scritturato nel 1938. Si trattava di una commedia romantica che conteneva una sottile allegoria che equipara il New Deal di Franklin D. Roosevelt al fascismo, scritto utilizzando musica di Kurt Weill e testi di Maxwell Anderson.
Ebbene i due autori, si videro costretti a scrivere la canzone in poche ore, adattandola alla voce ruvida e alla gamma vocale limitata di Huston. La canzone è stata utilizzata anche in vari film e spettacoli televisivi, tra cui il film del 1950 “September Affair” e il film di Woody Allen del 1987 “Radio Days.
“Speak Low” (dall’opera “One Touch of Venus”)
Altro brano da non dimenticare in questa breve escursione nel contributo dato da Kurt Weill al mondo del jazz e della canzone è “Speak Low”, una song con il testo di Ogden Nash, introdotta da Mary Martin e Kenny Baker nel musical di Broadway “One Touch of Venus” nel 1943.
La canzone è diventata un classico del jazz e ha trovato una nuova vita grazie alle interpretazioni di numerosi artisti. Tra le versioni più apprezzate quella del 1944 di Guy Lombardo e la sua orchestra, con la voce di Billy Leach, che fu un grande successo.
Il brano è stato utilizzato in vari film e spettacoli televisivi, tra cui il film del 1948 “One Touch of Venus” con Ava Gardner e Dick Haymes.
Il testo di “Speak Low” parla della natura effimera e fugace dell’amore e della passione. La canzone riflette sul fatto che il tempo è breve e l’amore è prezioso, con frasi come “Speak low when you speak love” che suggeriscono di parlare piano quando si parla d’amore, perché il tempo passa troppo in fretta. Nel corso del tempo il brano è diventato uno standard del jazz, eseguito da artisti come Billie Holiday, Tony Bennett, Ella Fitzgerald e Joe Pass.
Mack the Knife: Una Canzone tra due Oceani
Ma il brano più conosciuto, uno degli standard, più iconici del jazz, che dobbiamo alle penne di Kurt Weill e Bertolt Brecht rimane senza dubbio Mack the Knife.
“Mack the Knife” (titolo originale “Die Moritat von Mackie Messer”) è una canzone composta da Kurt Weill con testi di Bertolt Brecht per l’opera teatrale “L’Opera da tre soldi” (Die Dreigroschenoper), che debuttò a Berlino il 31 agosto 1928. La canzone racconta le gesta criminali di Macheath, noto come Mack the Knife, un personaggio basato sul bandito Macheath dell’opera “The Beggar’s Opera” di John Gay. Il testo descrive in modo crudo e dettagliato i crimini di Mackie, tra cui omicidi, rapine e incendi, paragonandolo a uno squalo che nasconde i suoi denti letali.
“Oh, the shark has pretty teeth, dear
And he shows them pearly white
Just a jackknife has Macheath, dear
And he keeps it out of sight”
“Oh, lo squalo ha denti belli, cara
E li mostra bianchi come perle
Solo un coltello ha Macheath, cara
E lo tiene nascosto”
La canzone fu inizialmente interpretata da Kurt Gerron, che interpretava il capo della polizia Jackie Brown nella produzione originale. Negli Stati Uniti, “Mack the Knife” divenne famosa grazie alla versione di Louis Armstrong del 1955, con testi tradotti da Marc Blitzstein.
Il testo tradotto da Marc Blitzstein di “Mack the Knife” è generalmente fedele all’originale tedesco di Bertolt Brecht, ma presenta alcune differenze per adattarsi meglio al pubblico anglofono e al contesto culturale americano. Blitzstein ha mantenuto l’essenza della canzone, che descrive le gesta criminali di Mackie Messer (Macheath), ma ha apportato alcune modifiche per rendere il testo più fluido e comprensibile in inglese.
Mentre il testo originale tedesco utilizza un linguaggio più crudo e diretto, la versione inglese di Blitzstein tende a essere leggermente più poetica e meno esplicita. Inoltre, alcune immagini e riferimenti culturali sono stati adattati per risuonare meglio con il pubblico americano.
Tuttavia, la versione più popolare fu quella di Bobby Darin del 1959, che raggiunse il primo posto nelle classifiche statunitensi e britanniche e gli valse due Grammy Awards. Anche Ella Fitzgerald ricevette un Grammy per la sua interpretazione della canzone nel 1961.

Bobby Darin, all’ anagrafe Walden Robert Cassotto, è nato il 14 maggio 1936 a New York City, è stato un cantante, cantautore e attore di origine italiana, di grande talento. Registrò la sua celebre versione di “Mack the Knife” con l’orchestra diretta da Richard Wess nel 1958 e fu pubblicata come singolo nel 1959 dall’etichetta ATCO Records. La canzone divenne rapidamente un successo, raggiungendo il primo posto nella classifica Billboard Hot 100 e rimanendovi per nove settimane.
Darin inizialmente era riluttante a registrare “Mack the Knife” perché temeva che la canzone, con il suo testo che descriveva le gesta criminali di Mackie Messer, potesse non essere ben accolta dal pubblico. Tuttavia, la sua interpretazione energica e lo stile swing della canzone conquistarono gli ascoltatori, trasformando “Mack the Knife” in un classico intramontabile.
La versione di Darin di “Mack the Knife” gli valse anche un Grammy Award nel 1960, consolidando la sua carriera e facendolo diventare una delle stelle più brillanti della musica popolare americana.
Finisce qui questo primo appuntamento, con la nostra piccola storia della canzone tra Europa e Stati Uniti. Nel prossimo appuntamento, continueremo il viaggio, e ci addentreremo nel mondo dei grandi compositori americani e non solo, e soprattutto, cominceremo a parlare dell’opera di Ira Gershwin, completando lo studio sull’opera dei fratelli più importanti della canzone americana