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Gershwin: jazz o non jazz questo è il problema. Anatomia di una delle figure più note della musica americana del 900. (prima parte)

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PREMESSA
Cari amici appassionati di Jazz, questo racconto, ha lo scopo di effettuare una narrazione sociologica e storica di argomenti legati al jazz, ma anche una ricostruzione dell’ambiente vissuto, allo scopo di ricostruire, in base alle personali esperienze di chi scrive, come si è trasformata la percezione del jazz in Italia, a partire dalla metà degli anni ottanta, quando la passione per questa musica si è trasformata lentamente, in una parte del personale lavoro.

In questo primo appuntamento affrontiamo uno studio sui fratelli Gershwin, George e Ira, una coppia di artisti che ha scritto, con la propria azione, pagine importanti della musica e della letteratura americana del novecento. Inoltre ha fornito materiale fondamentale sul quale intere generazioni di musicisti hanno trovato terreno fertile per sviluppare talento e improvvisazione.

Lo spunto per questo studio è stato fornito dal progetto “Da Gershwin a Bill Evans, quando il “classico” diventa Jazz” a cura del Maestro Antonino Armagno, andato in scena sabato 22 Giugno 2024 al Teatro San Vittorino, all’interno dei concerti organizzati dal Conservatorio Nicola Sala di Benevento, in occasione della festa della musica. In quella occasione, bisognava occuparsi della scrittura di un testo da raccontare al pubblico, un reading nel quale puntualizzare gli aspetti e le figure di due personaggi apparentemente così distanti, come Evans e George Gershwin.

Una esperienza che ha “costretto” a rileggere e a considerare sotto una luce diversa l’azione di questi due giganti, e soprattutto ha consentito di di rianalizzare, dopo tanti anni, la vita e l’opera di Gershwin, un compositore sempre amato sin dall’adolescenaza.

GERSHWIN: Un genio andato via troppo presto.
Il nome di Gershwin viene spesso citato frettolosamente quando, raramente, i musicisti di jazz presentano o si ricordano di presentare i brani durante i concerti.

Gershwin, è nella nostra memoria collettiva, tutti lo abbiamo sentito per un motivo o per un altro, qualcuno lo ricorda per La Rapsodia in blu, qualche altro, come autore di qualche standard, alcuni arrivano a riconoscergli qualche merito come autore di colonne sonore per il cinema, insomma, per certi versi Gershwin è ricordato e dimenticato quasi contemporaneamente, o meglio è citato, nominato in maniera quasi sempre frettolosa e superficiale.

La sua è una storia affascinante, è la vita di un giovane uomo che morì giovanissimo a 39 anni a causa di tumore al cervello, un “ragazzo” che riuscì usando talento e intraprendenza, a decodificare la sua epoca, offrendo all’industria dell’intrattenimento degli anni 20 e degli anni 30 di New York, un materiale plastico, adattabile, capace di accontentare la platea bianca e borghese che assisteva agli spettacoli di Broadway, e contemporaneamente, capace di fornire un telaio armonico e melodico, che sarebbe stato utilizzato, che è tutt’ora utilizzato dai musicisti improvvisatori di tutto il mondo.

In questa prima fase di questa ricerca su George Gershwin, ci concentreremo sulla sua attività relativa alla forma canzone, e a quella nella quale ha composto soprattutto per i grandi musical di Broadway, e cercheremo di capire in quale modo, e per quale motivo, pur non potendolo considerare un compositore di jazz, tout court, il suo nome e la sua opera sono stati importanti per la storia e lo sviluppo di questa musica.

DA ODESSA A NEW YORK
George Gershwin in appena 39 anni di vita, riesce a mettere la sua firma sulle più importanti produzioni musicali del suo tempo, compone in ambito teatrale, nell’ambito della forma canzone, firmando brani che poi diverranno terreno di esercizio e di scomposizione per le future generazioni di musicisti di jazz.

Compose colonne sonore per i musical di Broadway, e per il cinema, ed estese la sua azione sino alle sue celebri composizioni orchestrali, come La Rapsodia in blu composta nel 1924, Un americano a Parigi del 1928, e la celebre Porgy and Bess, che va considerata un’opera e un musical contemporaneamente, ma di questo ne parleremo dopo.

Il padre di George, Jacov Gershwitz era di origine russa, ucraino per essere precisi, nacque a Odessa, allora impero Russo, sposò Rose Bruskin, con la quale si trasferì negli Stati Uniti alla fine dell’800.

Ebbero 4 figli, Ira, Arthur, Frances, che rinunciò ad una carriera come cantante e ballerina, per dedicarsi anima e corpo alla cura della sua famiglia e del suo matrimonio, e naturalmente George, che nacque a Brooklyn il 26 settembre del 1898.

IL QUADRO STORICO
George Gershwin, muove i suoi primi passi nella musica, quando era ancora giovanissimo, comincia a suonare il pianoforte intorno ai 10 anni, con qualche lezione privata, improntando il suo approccio formativo in una dimensione soprattutto domestica, nella quale è attratto dalla possibilità di riprodurre con la sua tastiera le musiche che ascoltava ai concerti o attraverso la radio.

Siamo nella New York degli anni dieci, una città nella quale il mondo vedeva da un lato l’industria musicale bianca, essenzialmente rivolta alla rappresentazione di Musical per Broadway e nella produzione di canzoni leggere rivolte al pubblico medio, dall’altro lato invece il fermento musicale afroamericano, che si districava tra gli ultimi rigurgiti del ragtime, sul blues, e sul pianismo “STRIDE” di musicisti mai troppo citati come James P. Johnson, Eubie Blake, e il mitico Willie “The Lion” Smith.

James P. Johnson
Eubie Blake
Willie “The Lion” Smith

Lo “stride piano” è un elemento fondamentale, uno stile pianistico che fornisce in maniera quasi cinematografica, lo scontro, l’incontro e la sintesi tra cultura europea, africana e americana. Questo stile, è da considerare quasi come un vero e proprio terreno di lotta, un campo di battaglia nel quale gli ottantotto tasti di un pianoforte, vedevano consumarsi una battaglia tra le influenze europee, che erano alla base del ragtime, e le influenze blues che erano alla base della nuova concezione pianistica, essenzialmente concentrata sugli elementi ritmici prodotti dalla mano sinistra che aveva il compito di martellare con note isolate, o con accordi appena accennati, il lavoro svolto dalla mano destra a cui spettava il compito di far fiorire il tema.

New York aveva già allora una folta comunità nera che stava in qualche maniera determinando i suoi nuovi confini, i margini culturali e anche geografici entro i quali muovere le diverse correnti ed energie che la componevano.

IL CONTESTO SONORO
Harlem, che nel nostro immaginario ha sempre rappresentato una sorta di roccaforte culturale afroamericana, all’inizio degli anni dieci, vedeva la sua popolazione essenzialmente composta da immigrati bianchi di origine europea, soprattutto italiani, irlandesi, tedeschi ed ebrei. Lo spostamento della popolazione di colore, cominciò proprio negli anni dei quali stiamo parlando, compresi tra gli inizi degli anni ’10 e il 1920, nei quali, la popolazione nera, che occupava la zona sud, più povera e promiscua, cominciò a spostarsi verso il nord di Manhattan, formando lentamente, insieme agli immigrati provenienti dagli Stati del sud del paese, quel ghetto nero, che sarebbe stato soprannominato Black Bohemia. Su questo argomento ci ripromettiamo di tornare con una ricerca apposita.

New York devenne meta di una immigrazione interna senza precedenti, una bomba ad orologeria, nella quale si riversarono sin all’inizio degli anni venti centinaia di migliaia di donne e uomini di colore, in cerca di un tetto e di un pasto caldo.

Harlem fu il luogo nel quale una quantità sproporzionata di umanità si riversò cercando ogni mezzo possibile per sopravvivere.

In questo scenario incandescente si innesta il lavoro orchestrale prodotto da Jim Reese Europe, musicista e direttore del Clef Club, un’associazione di collocamento artistico per i musicisti di colore, ma anche l’ideatore di diverse iniziative orchestrali. Prima tra tutte quella andata in scena il 27 maggio del 1910 al Manhattan Casinò, che ospitò quella che possiamo definire una delle prime “orchestre sincopate”, un ensemble proto-jazzistico, antesignano di quelle che negli anni successivi impareremo riconoscere come orchestre jazz.

Jim Reese Europe

A Jim Reese Europe, va anche riconosciuto il merito di avere realizzato una serie di dischi fonografici per la Victor Talking Machine Company, espressioni di ottima qualità dello stile hot ragtime e pre-jazz del nord-est degli Stati Uniti degli anni ’10.

A scanso di equivoci va ricordato che queste incisioni non furono mai denominate o commercializzate come “jazz”, a differenza delle registrazioni effettuate nel 1917 da Nick La Rocca e dalla sua Original Dixieland Jass Band, alla quale spetta fuori da ogni dubbio, il primato di avere inciso e commercializzato per la prima volta questo genere.

Infine, va ricordato che, le registrazioni e il repertorio registrato dalla Clef Club Orchestra, poco o niente avevano a che vedere con la musica di New Orleans, il loro repertorio veniva eseguito da grosse formazioni sinfoniche e soddisfaceva prevalentemente un pubblico abituato e voglioso di ascoltare un repertorio per lo più basato sulla proposizione di marce militari sincopate.

In questo scenario incandescente il giovane George Gershwin, comincia a muovere i suoi primi passi professionalmente, quando abbandona la scuola, e trova un impiego come esecutore di nuovi spartiti per i clienti dell’editore Jerome H. Remick and Co. Siamo intorno al 1913, e la città di New York ha una fiorente attività dell’industria musicale che sarebbe passata alle cronache come Tin Pan Alley.

Finisce qui questo primo appuntamento con la vita di George Gershwin, nel prossimo continueremo dando uno sguardo all’ambiente urbano nel quale si mosse, esploreremo inoltre il suo percorso giovanile, arrivando ad analizzare aspetti utili per capire come il progresso dei media e della tecnologia abbiano influito sulla sua creatività e sulla sua carriera.